Giovani, carini e disoccupati, li voleva un cult generazionale infarcito di insopportabile egualitarismo. Ma in terre d’elezione come la nostra, la lunga crociata estetizzante per i diritti delle meteorine, ha finalmente lasciato in mutande tutti quegli spregevoli maniaci del corso universitario, in larga parte terroni, che in mancanza di un adeguato giro vita avevano osato prevaricare quel gran pezzo dell’Ubalda con quel fetido pezzo di carta. La chiamavano assicurazione per l’avvenire, biglietto omaggio per la dirigenza a prescindere dalla classe sociale di provenienza, la laurea. E siccome uno dei più interessanti dati proposti ieri da Almalaurea dice che otto italiani su dieci della nostra classe dirigente non ne possiedono una, non è difficile immaginare quanto i cosiddetti lavori a chiamata guardino con disgusto a quei dottori tristanzuoli che hanno letto due libri e vogliono rubarti il mestiere.
Non è una lunga geremiade di fallimenti, il rapporto Almalaurea 2011, ma la fedele cartina di tornasole di un Paese gerontocratico e di una classe politica di rara sensibilità sociale. Che risponde a un tasso di disoccupazione giovanile che al Sud sfonda il 40 per cento con una meravigliosa social-card per quaranta ragazzine estratte a sorte dai book di Emilio Fede: macchine, appartamenti, gioielli, soldi. Ovviamente trattabili, in base a disponibilità e spirito di sacrificio. Per gli altri, per quelli che hanno fallito l'orale all'università di Arcore, o hanno preferito disertare perché poco flessibili verso il moderno mercato del lavoro, non ci sono buone notizie. Che si tratti di triennale o specialistica, i senza lavoro sono in perenne crescita. A un anno dal titolo di studio, il 16,2 per cento dei laureati brevi è a spasso, contro l’11 per cento del 2008. La musica non cambia con la specialistica: a dodici mesi dalla proclamazione non lavora il 17,7 per cento dei giovani, contro il 10,8 per cento di due anni fa. C’è però un piccolo premio di consolazione, per chi frequenta ancora oggi un ateneo: Almalaurea stabilisce che presa in considerazione l’intera vita lavorativa, laurearsi è meglio, perché i giovani diplomati negli ultimi anni hanno un tasso di occupazione inferiore di undici punti percentuali a quella dei dottori. Male i diplomati, sul corpo dei quali rimorde maggiormente la crisi, ma non si sentono troppo bene neppure i laureati a cinque anni dal titolo. Tra il 2005 e il 2010 la contrazione occupazionale che li riguarda è aumentata di quasi cinque punti percentuali: un lustro fa erano il 90 per cento di quelli che avevano trovato impiego. Di che tipo di mansioni si tratti, è presto detto: a fronte dell’inflazione più rognosa della storia d’Italia, le condizioni contrattuali del primo impiego sono in costante peggioramento. E per quattro laureati triennali su dieci, si tratta di lavoro atipico. Nel ramo specialistico, si parla invece di un contratto atipico per ogni due laureati del 2010, mentre hanno ottenuto un contratto stabile solo tre fortunati su dieci. Di conseguenza, vincono a mani basse i datori di lavoro. Naturalmente in nero.
Sempre più giovani laureati lavorano infatti senza contratto e senza diritti, e ovviamente obbligati a imperitura riconoscenza. Tra chi ha concluso la specialistica, i laureati occupati senza contratto sono oggi il 7 per cento (il doppio del 2008). E crescono anche i giovani men in black della laurea breve: il 6 per cento contro il 3,8 del 2008. ). Soldi? Pochi, maledetti, e il più tardi possibile. Lo stipendio dei laureati ”brevi”, è sceso del 5 per cento, mentre gli specialistici sono a quota dieci. Problemi da adulti, e portafoglio da ragazzini, insomma. Ma lungi dall’essere soltanto una sequela di conti, lo studio AlmaLaurea dà l’esatta proporzione del miracolo italiano. Un miracolo di incompetenza e vocazione al disastro. A cinque anni dal titolo, il 73 per cento dei laureati di estrazione borghese ha un contratto stabile, mentre l’operazione dignità riesce soltanto al 68 per cento dei loro coetanei di famiglie operaie. Stessa solfa in termini di retribuzione: i laureati della borghesia superano i 1400 euro dopo cinque anni, mentre i self made man restano al palo dei 1200 euro. Un ascensore sociale al contrario, insomma. La bocconiana Tommasi e le altre del cenacolo di Ipazia con il vento in poppa, i ricercatori nello scantinato. Destini opposti accomunati dalla stessa strategia: la fuga dei cervelli. La maggior parte dei giovani che emigra, è però legata a un certo benessere, e ha studiato al Nord. All’estero partono da circa 1500 euro di stipendio, gli specialistici, in Italia o non lavorano o guadagnano 1000 euro. C’entra qualcosa la somma del Pil che l’Italia investe in sviluppo e ricerca: 0,66 per cento, come la Slovacchia. «Il concreto sviluppo della ricerca in tutti i campi delle scienze, rappresenta una priorità assoluta, sulla quale le istituzioni devono investire con coraggio, nella consapevolezza che su questo terreno si gioca una larga parte del futuro del nostro Paese», ha scritto ieri il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una lettera all’indirizzo di Telethon. E dire che su questo terreno, non si è ancora stagliata la tragica notte della riforma Gelmini. Lasciato il Paese alle nobili maitresse del Bunga Bunga, l'università di UnduetreMariaStella prepara ai ragazzi la sorpresa più bella: l'Italia del Bora Bora, esotico atollo del Mediterraneo fondato sul turismo. Orsù avvocata nostra, a che serve lavorare con un mare così bello? (f.l.d)
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