E sarà che gli uomini preferiscono le bionde, ma per la bruna Jane Russell, classe 1921, anche il giovane Giuliano Ferrara si sarebbe sfilato di dosso il pannolone in spregio al puritanesimo made in Usa. Non ancora in mutande, ma già arruolato in teatro. Dal Verme. Languida, distesa su un covone di paglia foggiato sulle sue curve prorompenti, miss Russell è passata nell’immaginario grazie a uno scatto temerario. Ma anche l’esordo cinematografico, nel 1943, rese chiaro a tutti come la bidimensionalità ontologica del mezzo per lei fosse un mero formalismo. Specie presso i titolisti italiani, che tradussero The Outlaw di Howard Hughes in un più sinestetico Il mio corpo ti scalderà. Di quella bocca dischiusa, di quei seni che oltraggiavano tutte e tre le leggi di Newton, molti soldati portarono le faville nei bunker della Seconda Guerra Mondiale. Vera antesignana del cinema in 3d, autentica protomartire del giansenismo involontario di Mauro Masi, la nemesi riccioluta di Shirley Temple si abbattè con geometrica veemenza contro gli Agostino Greggi del suo tempo. Più veniva censurata, e più vendeva la signorina Russell, nervosa santorina in gonnella che mandava a far un bicchiere i suoi detrattori. Amante del bandito Billy the Kid nel succitato e succinto debutto, Jane potè fare conoscenza con il pubblico soltanto tre anni dopo, quando la guerra già cominciata e l’umore non troppo lieto suggerirono di calare nell’agone civile l’ostensione delle sue grazie pacificanti.
«Ricorda, cara, nel giorno del matrimonio si può anche dire sì», diceva a Marilyn ne Gli uomini preferiscono le bionde. Sposata tre volte (Bob Waterfield, l’attore Roger Barrett e John Calvin Peoples), plurima madre di figli non suoi, Jane non fu soltanto pettoruta per gentile concessione del Creatore, ma per contenere anche un cuore decisamente over-size: già nel 1955 fondò il World Adoption International Fund.
Era nata a Bemidji, stato del Minnesota, nel 1921, unica femmina di cinque figli, Nel sangue portava geni canadesi e tedeschi. Sua madre era stata un’attrice raminga al seguito delle truppe, suo padre un colonnello dell’esercito. Non usa a obbedir tacendo, mamma Geraldine ne incanalò per tempo le giovanili intemperie. Jane imparò da lei a strimpellare il piano, coltivò qualche timida ambizione da designer, e prese confidenza con gli assi del palcoscenico alla Van Nuys High School. Ma poi la morte del colonnello Roy la indusse a lavorare qualche tempo alla reception di un hotel. Troppo carina per essere un’orfana cocopro, Jane trovò presto buone entrature nel mondo delle modelle, ma la saggia opera di contenimento della madre la mise sui giusti binari. Allieva di un certo Max Reinhardt, uno che nel palmarès vantava discreti successi formativi come Marlene Dietrich e Greta Garbo, Jane studiò recitazione anche con Maria Ouspenskaya, pupilla a sua volta di Constantin Stanislavski, un signore abbastanza bravo nell’arte della reviviscenza che a Hollywwod ricordano simpaticamente come un tizio che c’entra qualcosa con l’Actor’s Studio.
C’entra poco con la storia del cinema il primo film della nostra, che sotto la lente deformante di Howard Hughes, vede le sue arti amatorie soccombere in un tragicomico climax. Sedotta da Billy the Kid nei panni della meticcia Rio, la ventiduenne si vede infine scaricata dal bislacco fuorilegge a favore di un cavallo roano che ne aveva apprezzato più di lui le amorevoli cure e il matriarcale décolléte. La contestuale parabola western a base di sadismo, misoginia e commendevole cretineria, viene mandata giù da Jane non senza ripicche. La vendetta del cavallo roano si era già consumata a inizio riprese, quando la giovane stellina oppose un secco rifiuto al bra esclusivo progettato da Hughes per le sue carni. «Mi opprime», aveva risposto al bisbetico milionario che aveva preteso di ingabbiarne le doti. E d’altra parte, non sappiamo se divertita o sottilmente infastidita dalla cosa, la Russell di inizio carriera non colpì certo l’opinione pubblica per le sottili arti interpretative. Bob Hope la introdusse in uno show come: «Le due uniche e sole Jane Russell» e ancora, in un aforisma geniale: «Cultura è l’abilità di descrivere Jane Russell senza muovere le mani». Roba da far impallidire i senili schiamazzi di Vespa. Ma forse in pochi sanno che nel 1947, Jane tentò di intraprendere una carriera musicale che non ebbe grande eco, nonostante un duetto, Kisses and tears, con sua maestà Sinatra. In compagnia della Kay Kyser Orchestra incide altri due singoli, As Long As I Live e Boin-n-n-ng!, e un 78 giri per la Columbia Records, Let’s Put Out the Lights, i cui esiti artistici la Russell descrive così in occasione dell’improvvida ristampa del 2002: «Horrible and boring to listen to». A conferma che tra le doti della signora Russell, non ci fu mai l’istinto per la pubblicità. Gli anni ’50 la proiettano definitivamente nello stardom hollywoodiano, e così, dopo una nuova incursione western nei panni della Calamity Jane di Viso pallido e l’avventura nella bisca clandestina de Il suo tipo di donna, i profiler degli Studios sono pronti a lanciarla definitivamente nell’olimpo della commedia brillante. Il film è Gli uomini preferiscono le bionde, il ruolo è quello di una bruna che contende i favori maschili a una bionda prim’ancora di Antonio Ricci, e l’esito è che Dorothy Shaw unifica le «due Jane Russell» in un’unica persona. E soprattutto in un’interprete, che oltretutto è pure brava. Il guaio è che a contenderle la scena c’è Lorelei Lee, alias Marylin Monroe. Non corse mai buon sangue tra le due, forse solo un’antipatia cordiale ma poco appariscente. Impossibile non distinguere il bagliore luciferino che Jane riversa sulla bionda in una delle battute chiave del film di Hawks: «Credo che tu sia l’unica al mondo che stando sul palcoscenico con i riflettori negli occhi, riesce a vedere un brillante nelle tasche di un uomo».
Vennero poi altre famose interpretazioni: La linea francese (1953), Il tesoro sommerso (1954), Femmina ribelle (1956) e Vietato rubare le stelle, quest’ultimo un terribile flop che la vede rimetterci molti soldi come produttrice e buona parte del suo credito di attrice. Sparisce dal jet-set per sette anni, si esibisce per locali tra Stati Uniti, Messico ed Europa, e mette conto dire anche che la sua personale rivincita sulla Monroe, Gli uomini sposano le brune, è un fiasco dalla spaventosa valenza simbolica. Tornò sulle scene. Ma senza più vedere la ribalta. E nel 1971, in piena parabola discendente, la storia le presenta il conto. La sfrontata meticcia che aveva rifiutato di indossare il bra, diventa testimonial della Playtex. Se n’è andata ieri, Jane Russell, in seguito a un arresto respiratorio. Finalmente libera da quei comodi, esclusivi ferretti, che fin da subito l’avevano oppressa. (f.l.d)
Da Liberal 3 marzo 2011
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