martedì 26 aprile 2011

La Rai secondo Berlusconi: un disastro da milioni di euro di debiti, figuracce, e palinsesti ad personam

Nemmeno le pompette salvavino del fido Minzolini, avrebbero potuto preservare meglio l’inconfondibile retrogusto etilico distillato in cooperazione tra viale Mazzini e via XX settembre. Il dicastero del Tesoro comunica che il canone Rai è in caduta libera, 938 milioni di incasso nel primo bimestre del 2011, con una perdita netta di 562 milioni rispetto all’anno scorso. I vertici dell’azienda invece sostengono che non sono mai stati meglio: «I dati riportati dal Bollettino del Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia – smentiscono – sono errati. La raccolta del canone nei due mesi gennaio-febbraio 2011 ha avuto un incremento di oltre 15 milioni di euro rispetto al medesimo periodo dello stesso anno».
Due verità diametralmente opposte, che sembrano attingere direttamente alla fonte del paradosso logico berlusconiano. Quello che buon ultimo, proclama urbi et orbi che Ruby non è una prostituta, per poi annunciare che la stessa era sì pagata, ma affinché non si prostituisse più. Nel giugno del 2008, un premier sussiegoso dettava la linea al servizio pubblico: «Abolire il canone Rai? – si faceva una domanda e si dava una risposta – «Dipende dal ruolo che si vuole dare alla tv pubblica. Il canone avrebbe senso se la Rai rinunciasse ad agire come una televisione commerciale». Se è vero quindi che la tassa sul canone registra 562 milioni di euro in meno, gli italiani reputano che la Rai è ormai diventata un televisione commerciale. Viceversa, se gli introiti sono addirittura aumentati di 15 milioni, Berlusconi dovrebbe spiegare agli italiani perché il canone, quella tassa che secondo il premier medesimo avrebbe senso solo se la Rai facesse servizio pubblico, non è stata da lui abrogata. Il presidente del Consiglio spiegava nel 2008 che «la televisione pubblica e la radio pubblica dovrebbero avere come prima funzione quella di formare, poi quella di informare e infine, magari, anche quella di divertire». Nell’ipotesi che il canone è in caduta libera perché la Rai è ormai una tv commerciale, bisogna poi capire in base a quali logiche di mercato si muovano i vertici di viale Mazzini. Innanzitutto i debiti: perdite per oltre 650milioni di euro e un passivo in crescita di 116 milioni, quest’anno sottostimato per almeno venti milioni. In grave ritardo, per far fronte alla cosa, è arrivato perciò il piano industriale del direttore generale Mauro Masi: taglio del 20 per cento di appalti esterni, consulenze e auto blu, una riduzione del personale di oltre mille unità tra prepensionamenti, esodi incentivati e blocco del turnover. Sacrifici per tutti, dunque. Ma non tanti quanti se ne fanno per la riforma lacrime e sangue che ha messo sul piede di guerra i sindacati. È la dura legge del mercato, bisogna fare sacrifici. E se ne fanno moltissimi soprattutto per Vittorio Sgarbi, quattro puntate per uno show ancora incognito dal costo di 8 milioni di euro. E per il seggiolone rotante di Giuliano Ferrara e il suo Qui Radio Londra: 32mila euro a orbitazione, tre anni di contratto per un totale di 15 milioni di euro, e già 1,6 milioni di spettatori in meno rispetto all’esordio, che hanno lasciato l’Elefantino a roteare da solo.
Ma la Rai non si limita a difendere i suoi insuccessi commerciali come un qualsiasi servizio pubblico intento a “formare”. E anzi tenta di azzoppare i suoi cavalli migliori: Ballarò che costa 3 milioni e 500mila euro, e ne ricava 8 in pubblicità; Che tempo che fa, 10 milioni e 400 mila euro di costo e 17 milioni e 600 mila euro di incasso, Report che frutta all’azienda 4 milioni e 100 mila euro di spot, e Anno Zero,6 milioni di incasso puliti. Se la Rai è di fatto una tv commerciale, si tratta di un scelta di marketing suicida, tentare di cancellarle dal palinsesto. E se la Rai è servizio pubblico, non lo dice Berlusconi che la priorità è “informare”, e “infine, magari anche divertire?”. Chi segue il premier, sa bene che gli va data tutta la buona fede: talvolta mente sapendo di smentire. Perché in Rai, negli ultimi tre anni, c’è stato soprattutto di che divertirsi. Soprattutto a pensare al pluralismo. L’Osservatorio di Pavia ha reso noto che soltanto nel mese di gennaio, Tg1, Tg2 e Tg3 hanno visto il presidente del Consiglio presente per 6 ore e quaranta minuti mentre tutti gli altri leader politici messi insieme hanno la metà del suo tempo. Che il presidente della Repubblica Napolitano ha avuto 169 minuti nei tg di Stato, contro i 402 minuti del premier. Quando si tratta di divertire, insomma, il Cavaliere è un intrattenitore che non teme confronti. Vidierre ha calcolato che se unissimo tutte le parole da lui pronunciate nei telegiornali Rai e Mediaset degli ultimi dieci anni otterremmo un monologo di 10.260 minuti, circa una settimana ininterrotta di one man show. Tanta fantasia, non l’avrebbe avuta neppure Shakespeare. Ma il circo della tv pubblica, ha avuto diversi numeri di varia e alta goliardia, in questi ultimi anni. Molto acrobatico quello della Bonev, attrice bulgara premiata alla Mostra del Cinema di Venezia con un riconoscimento ad personam per la celeberrima opera prima Goodbye Mama. Un onore che non è toccato nemmeno a Goddard. Ma anche un onere: un milione di euro scucito da RaiCinema per l’amica del premier. E ancora miss Kulyte, modella lituana improvvisamente balzata da Arcore a il Lotto alle Otto. E ancora attrici, prezzemoline, berlusconiane a vario titolo, planate in fiction, programmi assortiti e quant’altro. Canone o non canone, il disastro della Rai non è affatto incomprensibile. E il bello di Silvio, è che ogni risposta può essere attinta direttamente alla fonte: «In Rai lavorano soltanto quelli di sinistra, e quelle che si prostituiscono». Ci sentiamo di escludere che le talentuose donnine da lui lanciate in Rai, abbiano letto Marx. Un utile indizio per comprendere perché, la gestione di Silvio ha messo il servizio pubblico in ginocchio.
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