mercoledì 27 aprile 2011

Bossi e Bertinotti di lotta e di governo, i gemelli della demolizione con l'hobby del populismo

Roma. Aveva peccato di eccessivo ottimismo, Umberto Bossi, in quel lontano marzo del 1994: «Berlusconi è un grosso imprenditore che ha mille interessi e se fosse presidente del Consiglio si troverebbe a discutere dei suoi interessi una legge sì ed una no». Un vaticinio sin troppo roseo, a giudicare dagli ultimi diciotto anni. Che però non impedì al Senatùr di allearsi con il Biscione nonostante l’acclarata fama di cui fu instancabile narratore: «Povero pirla», «messo lì dalla mafia», «delinquente», «capocomico del teatrino della politica», «Peròn della mutua», «palermitano che parla meneghino». A staccare la spina di quel primo governo post Tangentopoli, fu proprio il leader del Carroccio. Sognava un’Italia divisa in nove regioni, ma a differenza di oggi mancò di pazienza. E fece saltare il tavolo dopo pochi mesi. Le dimissioni, oggi inaudite, le diede proprio il Cavaliere. Ma a far cadere il governo furono le ansie prerisorgimentali dell’Umberto. Ampiamente tradite, scatenarono i mastini della Padania contro gli oscuri trascorsi del «mafioso di Arcore». Roba da far apparire le domande di D’Avanzo come teneri pigolii di un avvocaticchio imberbe. La campagna contro il Cavaliere sortì esiti disastrosi per il futuro partito dell’Amore. La Lega si presentò da sola alle elezioni, Berlusconi fu sconfitto, e un altro matrimonio controverso portò Romano Prodi a Palazzo Chigi, con il contributo di un’altra moglie riottosa. Fausto Bertinotti boccia il programma di governo del Professore, sigla comunque con l’Ulivo un patto di desistenza elettorale, dà l’appoggio esterno al vincente centrosinistra, e poi decide di affossarlo. Nel gennaio del 1997 Bertinotti indirizza aspre critiche all’Ulivo sulla questione dei metalmeccanici. A ottobre Diliberto, Bertinotti e Cossutta bocciano la finanziaria presentata dal governo e Prodi rassegna le dimissioni. La crisi di governo si ricompone, il Prc ottiene dal governo le 35 ore lavorative settimanali e pensioni congrue alle attività usuranti, ma Fausto non è pago. Rifondazione disapprova a maggioranza la finanziaria, e infine, il 9 ottobre, il governo Prodi cade per un solo voto: 314 a 313. Non del tutto infelice, è invece il secondo matrimonio tra Bossi e Berlusconi, di nuovo al Governo (il più longevo della storia repubblicana)nel 2001. L’ictus del 2004 sottrae il Senatùr all’arengo parlamentare per molti mesi, ma la sua inconfondibile regia si avverte eccome. Berlusconi preme per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, ma la Lega Nord che da tempo ha esteso l’odio per i terroni ai loro prossimi parenti islamici si mette di traverso. Proprio in quegli anni, nasce uno dei leitmotiv del Senatùr. Pochi, invariabili, ed estesi pressochè a qualunque tema di politica estera: «Il modo migliore è aiutare la gente a casa loro». Che siano turchi, o tunisini poco importa. Ma naturalmente, gli stranieri che più stanno a cuore al Carroccio sono soprattutto i meridionali. Nessuno più di loro merita di starsene a casa propria. E così la secessione impossibile del ’94, ricompare sotto forma di un più accettabile federalismo. Il patto del 2001 è chiaro, e del tutto somigliante a quello odierno: la Lega salva il premier dai processi, i berluscones danno al Carroccio il federalismo. Nel novembre 2005  arriva il sì del Parlamento alla devolution, ma a guastare tutto arriva il referendum che la boccia. Bossi si dice «deluso da questa Italia un po’ triste» ma si solleva subito l’umore con un accordo che non crea altrettanto entusiasmo nel Cavaliere. In vista delle elezioni del 2006, la Lega Nord firma un accordo con l’Mpa di Lombardo nell’intento di indebolire al Sud il Cavaliere. Perse le regionali del 2005, il terzo governo Berlusconi subisce un grosso scrollone dalle dimissioni del delfino di Bossi, Calderoli, e della sua simpatica maglietta antimusulmana che in un crescendo di provocazioni divenne famigerata con l'attentato di Bengasi.  La seconda notte di nozze di Prodi e Bertinotti parte invece sotto i migliori auspici nel maggio del 2006. Rifondazione fa parte dell’esecutivo a pieno titolo, ma è così abituata a fare opposizione che non rinuncia neppure a farla a se stessa. Nonostante il programma comune nascono i senatori dissidenti, Cacciari si dimette, e Bertinotti, presidente della Camera, porta a compimento l’opera di demolizione. Fausto bolla Prodi come «il più grande poeta morente», paragona il suo governo ad un «brodino caldo», e annuncia che «questo governo ha fallito». Oggetto del contendere è soprattutto il rifinanziamento delle missioni all’estero. Ma anche la finanziaria non è molto gradita, e molti rifondaroli scendono in piazza contro la loro stessa maggioranza. L’espulsione di Turigliatto dal partito radicalizza lo scontro, nasce la Cosa Rossa e il risultato è che la nuova Sinistra Arcobaleno viene bocciata dagli elettori di riferimento. È proprio a causa di questi disastri, che il Paese torna fermamente sotto l’egida di Bossi e Berlusconi nel 2008, che giunti alla terza avventura coniugale, non sembrano però uniti da un amore maturo. Nell’inverno della loro avventura politica, il Senatùr e il Cavaliere, bisticciano ancora: «Si è sposato con la Lega e ora deve eseguire gli ordini», aveva detto l’Umberto nel 2008. Che più volte ha precisato di essersi sfrantumato i cosiddetti, per dirla elegante, perché il federalismo non è ancora arrivato. Più che un matrimonio, un film di Bunuel.
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