Giovane e brillante giornalista finanziario del New York Times Andrew Ross Sorkin racconta l’apocalisse economica del 2008 in Too big to fail De Agostini, 620 pagg. 21 euro). A partire dal settembre più nero che il mondo ricordi dopo il default degli anni Trenta, Sorkin affonda la lama nel ventre molle di Lehman Brothers, colosso americano che generò un effetto domino capace di mettere in ginocchio l’economia globale. Documenti riservati, riunioni segrete, incontri alla Federal Reserve e al Tesoro statunitense: passo dopo passo il giornalista assembla un mosaico minuzioso dal disegno ampio e catastrofico in ogni sua parte. Ma nello scorrere dell’inchiesta non c’è alcun intoppo o paragrafo troppo ardito, perché frasi celebri, carriere, rancori e disperazione, rapacità e malafede grondano in pagine costruite con la lucida spietatezza di un thriller. Sorkin prende le mosse dal salvataggio di un’altra delle “big five” di Wall Street, Bear Stearns, ceduta a JP Morgan nei primi mesi del 2008. Un preludio che precede di poco il grande crollo dell’autunno. I salvataggi di Fannie Mae e Freddie Mac, in particolare, esprimono per Sorkin il concetto su cui si fonda l’intero impianto dell’opera: too big to fail, ovvero troppo grandi per fallire, tanto quanto il golem economico delle assicurazioni Aig. La cronaca minuta si alterna alla sapida descrizione di protagonisti attoniti e piangenti dopo aver esercitato per anni una sordida e avida arroganza che aveva fatto di Wall Street l’ubi consistam dell’esistenza terrena. Verbosi teologhi del libero mercato, osannanti chierichetti della bruta finanza, i bancari che hanno disfatto il mondo, che hanno predicato per anni la non ingerenza fondamentalista del privato ad ogni costo, cadono in ginocchio in questo saggio amaro da leggere tutto d’un fiato come fosse un romanzo. Ma l’America non è certo addentro ai sacri fuochi di redenzione del grande Dostoevskji. E l’ombra inquietante di un eterno ritorno della speculazione folle ed egoista, incombe in un finale senza troppa consolazione. Troppo grande per fallire, l’idrovora del capitalismo selvaggio che generato squilibri vergognosi, è destinata a portare tutti con sé nella rovina. Lasciando l’apparenza che tutto cambi, affinché ogni cosa resti uguale.
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