ROMA. Eravamo rimasti a Berlino. E più
precisamente al modello tedesco. Se non che d’improvviso, una
conferenza stampa ha cercato di cambiare la strada maestra con tanto di
gaffe semipresidenziale. Alfano aveva in cuor suo nominato il Cavaliere
capo dello Stato con prodigo anticipo, e con procedure burocratiche di
mirabile snellezza. Dal governo del fare, il Pdl aveva dunque
traghettato lo stesso spirito futurista nello stretto delle riforme
parlamentari. Così che la zattera della politica, minacciata
dall’avanzata grillina, ora rischia di affondare sotto l’attacco di
piccoli innocenti emendamenti che richiederebbero una quasi totale
riscrittura della Costituzione. Operazione possibile? «Fino a pochi
giorni fa», spiega a liberal il presidente emerito della Corte
costituzionale, Piero Alberto Capotosti, «sia pure con qualche
difficoltà e diffidenza reciproca, le forze politiche sembravano aver
intrapreso un percorso in grado di condurre in porto una soluzione
elettorale e costituzionale finalmente coerente. Anziché partire dalla
riforma elettorale per cambiare in maniera surrettizia le coordinate
costituzionali, come più volte accaduto in passato, si era tentato
questa volta di dar luce a una riforma complessiva dotata di una certa
coerenza interna, che aveva trovato nell’ordinamento tedesco i suoi
principi ispiratori. Nonostante qualche necessario adattamento al nostro
dettato costituzionale, lo spirito della nuova architettura
istituzionale guardava a Berlino ma senza dar luogo a stravolgimenti
troppo drastici dell’attuale sistema parlamentare. Non c’era molto
tempo, e al netto di qualche incertezza sette o otto mesi avrebbero
potuto costituire un tempo di decantazione e di riflessione sufficiente
per ridiscutere l’assetto istituzionale e giungere a un risultato
condiviso». Finchè non si è verificato l’imponderabile. «È accaduto che
il Pdl abbia presentato nei giorni scorsi, con una sorta di “proposta
del predellino”, una serie di emendamenti finalizzati all’improvvisa e
improvvisata istituzione di un sistema semipresidenziale, forse nel
tentativo di sparigliare le carte», osserva il costituzionalista. Questa
Italia dominata dal “culto della personalità”, è poi così adatta a una
governance alla parigina?«Intendiamoci», annota il presidente
emerito della Consulta, «il sistema semipresidenziale francese non va
demonizzato perché ha dato ottima prova di sé in Francia, dove vige dal
1958. Ciò che colpisce è però il brusco cambio di direzione che in pochi
giorni sposta la meta della riforma da Berlino a Parigi con soltanto
sei mesi di tempo per cercare di discuterne. È troppo tranchant, e
certamente non troppo ligio alle procedure previste dall’articolo 138
della Costituzione, pensare di avviare announa riforma istituzionale di
questa portata depositando sei emendamenti direttamente in aula senza
passare dalla Commissione. Ma a ben guardare, più che il metodo lascia
perplessi il merito». Dal vizio formale, al vizio sostanziale il passo è
breve. «Non si può pensare», ammonisce Piero Alberto Capotosti, «di
passare da Berlino a Parigi come si trattasse di un’improvvisa
deviazione nel corso di una passeggiata. L’elaborazione di un
cambiamento tanto profondo dei dettami costituzionali richiederebbe un
fitto coinvolgimento del mondo della cultura, del lavoro, dell’opinione
pubblica, della società civile. La Costituente impiegò molto tempo nella
scelta del sistema parlamentare. La storia ci insegna che le riforme
epocali non si fanno con quattro emendamenti ». Pensare male fa bene,
soprattutto alla de mocrazia. «Ci potrebbe essere il sospetto che si
vogliano cambiare le carte in tavola», fa notare il presidente emerito
della Corte costituzionale,«di far saltare il tavolo della riforma su
cui si era trovata già una volontà condivisa per far sì che alcune
misure particolarmente avversate come la riduzione del numero dei
parlamentari possano essere accantonate con uno stratagemma». E inoltre,
è poi così vero, che basta qualche emendamento, e la pillola va giù?
Sul punto Capotosti è molto chiaro: «Gli emendamenti che guardano al
modello semipresidenziale mal si conciliano con le riforme già messe in
cantiere e rimetterebbero in discussione l’intero impianto già
approntato con fatica dalle forze politiche nei mesi scorsi. Si
tratterebbe insomma di ricominciare da capo, e di lavorare a un modello
da riscrivere punto per punto». Questione di tempo, ma anche di
opportunità. «Va detto che la riforma semipresidenziale comporterebbe un
profondo rivolgimento della nostra Carta. E pochi mesi a disposizione
fanno dell’eventuale operazione un vero azzardo. Toccare la Costituzione
in zona Cesarini di solito dà luogo a veri papocchi come già ampiamente
dimostrato dalla bocciatura della riforma del 2005. Dunque è più
ragionevole pensare che si tenterà di far decadere la riforma
costituzionale in senso tedesco, in favore di un aggiustamento di
piccolo cabotaggio all’attuale Porcellum: resterebbe tale e quale, ma
forse lievemente migliorato con la reintroduzione delle preferenze ».
Un’opzione che introdurrebbe i numeri negativi negli indici di fiducia
nei partiti. «Colmare il deficit di credibilità con le riforme
istituzionali», conferma Capotosti, «è forse illusorio. Non può esserci
mai fretta, quando si tratta di mettere le mani sulla Costituzione.
Questo è semmai per le forze politiche il momento di cercare di capire
il vero sentimento della nazione. E di agire di conseguenza. Poche cose,
ma buone». Molto scettico, per lo meno sulla fattibilità reale
dell’operazione semipresidenziale, appare anche Vincenzo Lippolis,
docente di Diritto costituzionale alla Luspio: «È difficile pensare a un
tale cambiamento a pochi mesi dalla fine della legislatura. E poi
occorre pensare alle ragioni storiche che potrebbero giustificare un
tale cambiamento. Ci sono? Ricordiamoci che la Francia giunse al
semipresidenzialismo essendo aperta la drammatica crisi algerina e
grazie alla figura di De Gaulle, un vero e proprio eroe nazionale. E
comunque se la costituzione della V repubblica fu adottata nel 1958,
l’elezione diretta del presidente fu stabilita solo nel 1962. In
entrambe le occasioni a decidere fu un referendum popolare».
Dall’eredità del Re Sole, ai trucchi del Re Sola.
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