giovedì 21 giugno 2012

«L'Italia semipresidenziale? Un'offesa alla Costituzione. Soltanto un brutto trucco del Pdl per far saltare la riduzione dei parlamentari»

ROMA. Eravamo rimasti a Berlino. E più precisamente al modello tedesco. Se non che d’improvviso, una conferenza stampa ha cercato di cambiare la strada maestra con tanto di gaffe semipresidenziale. Alfano aveva in cuor suo nominato il Cavaliere capo dello Stato con prodigo anticipo, e con procedure burocratiche di mirabile snellezza. Dal governo del fare, il Pdl aveva dunque traghettato lo stesso spirito futurista nello stretto delle riforme parlamentari. Così che la zattera della politica, minacciata dall’avanzata grillina, ora rischia di affondare sotto l’attacco di piccoli innocenti emendamenti che richiederebbero una quasi totale riscrittura della Costituzione. Operazione possibile? «Fino a pochi giorni fa», spiega a liberal il presidente emerito della Corte costituzionale, Piero Alberto Capotosti, «sia pure con qualche difficoltà e diffidenza reciproca, le forze politiche sembravano aver intrapreso un percorso in grado di condurre in porto una soluzione elettorale e costituzionale finalmente coerente. Anziché partire dalla riforma elettorale per cambiare in maniera surrettizia le coordinate costituzionali, come più volte accaduto in passato, si era tentato questa volta di dar luce a una riforma complessiva dotata di una certa coerenza interna, che aveva trovato nell’ordinamento tedesco i suoi principi ispiratori. Nonostante qualche necessario adattamento al nostro dettato costituzionale, lo spirito della nuova architettura istituzionale guardava a Berlino ma senza dar luogo a stravolgimenti troppo drastici dell’attuale sistema parlamentare. Non c’era molto tempo, e al netto di qualche incertezza sette o otto mesi avrebbero potuto costituire un tempo di decantazione e di riflessione sufficiente per ridiscutere l’assetto istituzionale e giungere a un risultato condiviso». Finchè non si è verificato l’imponderabile. «È accaduto che il Pdl abbia presentato nei giorni scorsi, con una sorta di “proposta del predellino”, una serie di emendamenti finalizzati all’improvvisa e improvvisata istituzione di un sistema semipresidenziale, forse nel tentativo di sparigliare le carte», osserva il costituzionalista. Questa Italia dominata dal “culto della personalità”, è poi così adatta a una governance alla parigina?«Intendiamoci», annota il presidente emerito della Consulta, «il sistema semipresidenziale francese non va demonizzato perché ha dato ottima prova di sé in Francia, dove vige dal 1958. Ciò che colpisce è però il brusco cambio di direzione che in pochi giorni sposta la meta della riforma da Berlino a Parigi con soltanto sei mesi di tempo per cercare di discuterne. È troppo tranchant, e certamente non troppo ligio alle procedure previste dall’articolo 138 della Costituzione, pensare di avviare announa riforma istituzionale di questa portata depositando sei emendamenti direttamente in aula senza passare dalla Commissione. Ma a ben guardare, più che il metodo lascia perplessi il merito». Dal vizio formale, al vizio sostanziale il passo è breve. «Non si può pensare», ammonisce Piero Alberto Capotosti, «di passare da Berlino a Parigi come si trattasse di un’improvvisa deviazione nel corso di una passeggiata. L’elaborazione di un cambiamento tanto profondo dei dettami costituzionali richiederebbe un fitto coinvolgimento del mondo della cultura, del lavoro, dell’opinione pubblica, della società civile. La Costituente impiegò molto tempo nella scelta del sistema parlamentare. La storia ci insegna che le riforme epocali non si fanno con quattro emendamenti ». Pensare male fa bene, soprattutto alla de mocrazia. «Ci potrebbe essere il sospetto che si vogliano cambiare le carte in tavola», fa notare il presidente emerito della Corte costituzionale,«di far saltare il tavolo della riforma su cui si era trovata già una volontà condivisa per far sì che alcune misure particolarmente avversate come la riduzione del numero dei parlamentari possano essere accantonate con uno stratagemma». E inoltre, è poi così vero, che basta qualche emendamento, e la pillola va giù? Sul punto Capotosti è molto chiaro: «Gli emendamenti che guardano al modello semipresidenziale mal si conciliano con le riforme già messe in cantiere e rimetterebbero in discussione l’intero impianto già approntato con fatica dalle forze politiche nei mesi scorsi. Si tratterebbe insomma di ricominciare da capo, e di lavorare a un modello da riscrivere punto per punto». Questione di tempo, ma anche di opportunità. «Va detto che la riforma semipresidenziale comporterebbe un profondo rivolgimento della nostra Carta. E pochi mesi a disposizione fanno dell’eventuale operazione un vero azzardo. Toccare la Costituzione in zona Cesarini di solito dà luogo a veri papocchi come già ampiamente dimostrato dalla bocciatura della riforma del 2005. Dunque è più ragionevole pensare che si tenterà di far decadere la riforma costituzionale in senso tedesco, in favore di un aggiustamento di piccolo cabotaggio all’attuale Porcellum: resterebbe tale e quale, ma forse lievemente migliorato con la reintroduzione delle preferenze ». Un’opzione che introdurrebbe i numeri negativi negli indici di fiducia nei partiti. «Colmare il deficit di credibilità con le riforme istituzionali», conferma Capotosti, «è forse illusorio. Non può esserci mai fretta, quando si tratta di mettere le mani sulla Costituzione. Questo è semmai per le forze politiche il momento di cercare di capire il vero sentimento della nazione. E di agire di conseguenza. Poche cose, ma buone». Molto scettico, per lo meno sulla fattibilità reale dell’operazione semipresidenziale, appare anche Vincenzo Lippolis, docente di Diritto costituzionale alla Luspio: «È difficile pensare a un tale cambiamento a pochi mesi dalla fine della legislatura. E poi occorre pensare alle ragioni storiche che potrebbero giustificare un tale cambiamento. Ci sono? Ricordiamoci che la Francia giunse al semipresidenzialismo essendo aperta la drammatica crisi algerina e grazie alla figura di De Gaulle, un vero e proprio eroe nazionale. E comunque se la costituzione della V repubblica fu adottata nel 1958, l’elezione diretta del presidente fu stabilita solo nel 1962. In entrambe le occasioni a decidere fu un referendum popolare». Dall’eredità del Re Sole, ai trucchi del Re Sola.
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