lunedì 11 giugno 2012

Famiglia italiana spa, un'azienda al servizio dello spread

«Quando non si minaccia, ma si ragiona; quando non si ha paura, ma ci si vuole bene; quando Dio è il padrone di casa, allora nasce la famiglia», sosteneva Don Bosco . Ma quando ragionare è difficile perché le condizioni economiche diventano una minaccia, quando ci si vuole bene ma si ha troppa paura di finire stritolati da uno Stato indifferente, il padrone di casa diventa il denaro volatile delle banche. E la famiglia muore, proprio come accade oggi in Italia. Se la scelta di sposarsi rappresenta per l’uomo quel test della libertà assoluto di cui parlava Chesterton, bisogna dedurne che il cittadino italiano che consacra sé stesso al matrimonio, in questo Paese finisce in ceppi. In catene che si chiamano povertà e abbandono delle istituzioni. L’ultimo rapporto Istat dice che nel Mezzogiorno, area dove si concentra il 68,2 per cento degli indigenti di questo Paese, una famiglia su 4 si trova in condizioni di povertà e dispone di poco più di 900 euro mensili. C’è la crisi, si continua a ripetere. Ma a ben osservare i dati dell’Istituto statistico nazionale si scopre in realtà che la recessione è soltanto un paravento. E che la vera ragione di questa Caporetto è da rintracciare in politiche economiche classiste ed inique. I dati dell’Istat fotografano una piramide che negli ultimi quindici anni si è sempre più consolidata. Dal 1997 a oggi, le famiglie con i livelli di spesa più bassi, per riuscire a crescere i loro figli sono state costrette ad aumentare i consumi del 44 per cento, prima intaccando i propri risparmi e poi indebitandosi pesantemente. Meno peggio è andata alle famiglie del ceto medio, in grado di spendere tra le duemila e le duemila e trecento euro mensili: per loro l’aumento della spesa è stato del 25 per cento. Benissimo è andata invece alle famiglie più ricche che hanno a disposizione oltre 5400 euro per i loro consumi. In termini percentuali hanno registrato un incremento di spesa minimo. È evidente, dunque, che dal ‘97 a oggi si sia consumata la bancarotta del nostro welfare. E che un sistema fiscale oppressivo con i bisognosi e comprensivo verso le classi agiate che spesso beffano lo Stato due volte con l’elusione e l’evasione, abbia trasformato il matrimonio: da terra fertile e aperta a tutti, a lussuoso resort per giovani rampolli. Con il risultato che nel 2010 hanno scelto di sposarsi 217mila giovani coppie, 100mila in meno rispetto al 1992. Ma la lenta dismissione del sistema familiare passa anche dal numero di figli: dal ’92 a oggi i componenti familiari sono scesi da 2,7 a 2,4 per nucleo. Laddove la famiglia dovrebbe essere garanzia di unione e fiducia nell’altro, trionfa quindi la solitudine e l’incompiutezza. Aumentano le persone sole, le coppie senza figli e le famiglie monogenitore. E crescono le libere unioni, che hanno superato quota sette milioni. I figli sono l’avvenire di qualunque Paese, è evidente. Ma l’Italia sembra punire proprio quei genitori che hanno voluto credere più di tutti nel futuro. L’Istat rileva che il 29,9 per cento di famiglie con cinque e più componenti, tira a campare in condizione di povertà relativa con un aumento di 7 punti percentuali rispetto al 1997. Ma gli stenti non risparmiano i figli unici. Specie se sono minori, e hanno la doppia sventura di crescere nel Mezzogiorno. Nelle famiglie con almeno un minore l'incidenza della povertà è del 15,9 per cento. E nel complesso, quasi due milioni di minori vivono in famiglie relativamente povere. Quasi il 70 per cento di loro, bambini e adolescenti, abita nel Sud. Un vero e proprio record in Europa. Uno dei tanti spread di cui naturalmente non parla nessuno. La verità è che i governi che si sono avvicendati in questi anni, si sono detti vicini alle famiglie disagiate soltanto a parole. E sono stati invece piuttosto intimi con il loro portafoglio. Nel resto d’Europa si investe mediamente sulle politiche familiari il 2,2 per cento del famoso Pil. In Italia siamo fermi allo 0,8 per cento, e a giudicare dalla famosa lettera di agosto della Bce, sembra che l’Unione europea non ne abbia fatto alcun dramma. Non occorre un ardito scavo etimologico per comprendere come mai la famiglia, considerata dalla Costituzione il motore della nostra società, sia finita per esserne la ruota di scorta. La parola “famiglia” viene dall’osco “Faama”, che tradusse a sua volta l’antico sanscrito “Dhama-n”. Una parola che non esprime un concetto ma qualcosa di più solido: la parola “casa” che ne fonda il significato. Un suono che dovrebbe essere per tutti il più rassicurante del mondo, e oggi invece traduce l’incubo peggiore. In Italia, una famiglia su quattro è in difficoltà nei pagamenti delle rate del mutuo, annota l’Osservatorio regionale sul costo del credito (Orcc) promosso da Caritas italiana e Fondazione culturale Responsabilità etica. E la sofferenza domestica aumenta a causa del peso di tariffe e bollette in libera ascesa, con l’effetto che quasi il 50 per cento dei nuclei familiari, e cioè famiglie che un tempo erano ampiamente solvibili, oggi debba versare il 30 per cento del proprio reddito per la casa. E c’è chi deve abbandonare la lotta con lo spread, e inventarsi qualcos’altro. Per informazioni chiedere alle 44mila famiglie che si sono viste requisire l’abitazione nel 2011 con un’ elegante letterina prestampata. Molti giovani che nutrivano velleità rispetto al futuro, in questi ultimi mesi hanno smesso di farlo. Mettere su casa, oltre a costare troppo, è impossibile. Ed è così che nel 2011 la domanda di mutui è crollata del 20 per cento rispetto all’anno precedente. Nulla di strano, visto che i salari italiani, i più bassi d’Europa, sono fermi da 20 anni, e che a due anni dalla nascita di un figlio, una donna su quattro paga il lieto evento perdendo il lavoro. Da catena di solidarietà, la famiglia si è trasformata in catena di sventure: due giovani su dieci provenienti da famiglie disagiate vanno all’università, contro i sei su dieci che contano su genitori benestanti. A fare il resto è il tasso di disoccupazione dei 18-29enni che ha raggiunto il 20,2 per cento nel 2011, e i Neet (15-29enni che non studiano e non lavorano), 2,1 milioni di giovani che non si sognano neppure di fare progetti sull’avvenire. Nel complesso, quattro giovani su dieci tra i 25 e 34 anni vivono ancora nella famiglia d'origine perché non hanno un lavoro. E negli ultimi vent'anni la quota di quelli che escono dalla famiglia per sposarsi si è dimezzata. Ci sono mille formule che possono tentare di oscurare la bancarotta della famiglia italiana: dall’austerity al fiscal compact, dalla volatilità dei mercati finanziari alla flessibilità che è il vero mantra del neoliberismo. Ma qualunque sia il dogma prevalente, resta il fatto che schiacciare la famiglia significa cancellare il futuro, per affidarlo così a una lotteria darwinista che è la sconfitta del bene comune. Sarà per questo che gli italiani hanno speso quest’anno quasi 80 miliardi di euro nel gioco d’azzardo. Il buon Aristotele sia dia pace: la famiglia italiana è ormai l'associazione istituita dalla natura per provvedere alle quotidiane necessità dello spread.

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