giovedì 9 febbraio 2012

«Ecco il patto per far fuori Lega e Idv». Massimo Cacciari svela gli scenari per il dopo Monti

Roma. Due volte nella polvere, due volte sull’altare. Sconfitto male alle elezioni del ’96 e in quelle di dieci anni dopo, Silvio Berlusconi ha deviato in entrambe le occasioni verso il sancta sanctorum delle riforme. Ma prima come promessa sposa di Massimo D’Alema, e poi come pronuba di Walter Veltroni, l’ex premier è fuggito dall’altare a cerimonia già iniziata. Facendosi un baffo di chi assicurava a tutti di tenerlo, per dirla in modo urbano, per il guinzaglio. Pdl e Pd assicurano oggi, per la terza volta, di essere concordi nell’esigenza di «cambiare l’attuale sistema elettorale restituendo ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti», annunciano un cammino condiviso che porterà alla riduzione del numero dei parlamentari, alla modifica del cameralismo perfetto e a una nuova regolamentazione parlamentare all’insegna della trasparenza. Ma l’auspicio è che stavolta, specie dopo la chiarissima volontà popolare di abolire il Porcellum lasciataci in dote dal defunto referendum, l’ennesima nota congiunta dei due maggiori partiti italiani non sia il sinistro prologo del solito matrimonio che non s’ha da fare. Quello delle riforme. «Ma forse questa è la volta buona», dice a liberal Massimo Cacciari, «e anche se non ne verrà fuori il miglior risultato possibile, i partiti sanno bene che dopo il governo Monti gli assi portanti del vecchio sistema politico non saranno più facilmente praticabili». 
Professore, tutti hanno voglia di cambiare la legge elettorale, ma ognuno vorrebbe farlo a modo proprio. Si passerà mai dalle chiacchiere congiunte ai fatti?
Probabilmente non ne verrà fuori un sistema di voto coerente e del tutto funzionale alle esigenze del Paese. Ripristinare i collegi uninominali sarebbe la soluzione ottimale, in questo senso. E tuttavia si può pensare a un accordo su un maggioritario corretto in senso più proporzionale e all’abolizione delle liste bloccate.
Ma sul Porcellum la Lega sembra volersi mettere di traverso. Per il Cavaliere un ostacolo non da poco.
Non credo affatto che Bossi rappresenti ancora un problema. La decisione del Pdl di sedersi con il Pd al tavolo delle riforme è il segnale che lo strappo con il Carroccio è definitivo. Il Senatùr ha bisogno di difendere il proprio potere di nomina affinché i suoi fedelissimi possano arginare le pretese di Maroni anche nella prossima legislatura.
E se si dovesse arrivare davvero a una nuova legge elettorale, che tipo di schieramenti dovremmo immaginarci in campo, di conseguenza?
Per rispondere a questa domanda, bisognerà attendere le decisioni di Mario Monti. È lui che ha in mano il boccino. Se l’attuale premier dovesse risolversi a continuare a fare politica, sarebbe sostenuto dal Terzo Polo sull’onda dei risultati favorevoli conseguiti dal governo tecnico. A quel punto il Pdl dovrebbe convergere al centro. Un ragionamento che vale anche nel caso in cui Passera dovesse candidarsi, e che indurrebbe a anche il Pd a una decisione speculare.
L’ipotesi è più plausibile per il Pdl, che così rientrerebbe nella casa dei moderati. Ma il Pd non rischierebbe a quel punto di restare fuori dalla porta?
Lo sostengo da tempo e lo ripeto: questo non è un governo tecnico, ma un governo politico.
Sbagliamo a immaginare dietro le sue parole l’idea di un futuro governissimo?
La crisi avrà l’effetto quasi certo di produrre una riaggregazione delle forze politiche attorno a un polo moderato. Ma come detto, tutti faranno i conti non appena Monti chiarirà il suo futuro.
Una legge elettorale corretta in senso proporzionale, sarebbe quindi coerente con l’idea di tagliare fuori le cosiddette “estreme”.
In fondo il risultato non sarebbe così negativo per la Lega perché nonostante si troverebbe a contare di meno in Parlamento, vedrebbe crescere molto i suoi consensi al Nord e avrebbe le mani libere.
Se guardiamo al ’96 e al 2007, non si può che essere scettici su questo tavolo delle riforme. Che tipo di scenario possiamo immaginare se tutto andasse a monte?
È facile a dirsi. Avremmo uno straccio di centrodestra a fronteggiare uno straccio di centrosinistra.
Oltre all’uccisione del Porcellum, ci sono in agenda anche la riduzione del numero dei parlamentari e la riforma del bicameralismo perfetto. Due mete raggiungibili anche queste?
Tutto sommato sì. L’occasione di riformare la legge elettorale è legata a doppio filo a una drastica riduzione del numero dei parlamentari. Un bella sforbiciata che non solo possibile e desiderata da tutti, ma anche necessaria. Idem per il bicameralismo perfetto. Bisogna snellire l’iter di formazione delle leggi ordinarie.
Conosciamo il personaggio e il dubbio è lecito. Se le riforme andranno in porto, che tipo di vantaggio otterrà il Berlusconi riformista a decenni alterni?
Questa volta è una questione di sopravvivenza. Il Cavaliere ha lasciato a Monti soltanto perché le aziende di famiglia erano ormai sotto assedio, è evidente. Ma stavolta non vedo un contraccambio immediato. L’ex premier ha bisogno di agganciare Monti e il Terzo Polo, altrimenti rischia di rimanere isolato.
Eppure in tanti spiegano che vorrebbe per sé la nomina a senatore a vita, o il pass per il Quirinale. Per tacere, benignamente, dei processi che lo riguardano.
Immaginare Giorgio Napolitano che nomina senatore a vita il Cavaliere sarebbe quanto meno stupefacente. Magari potrebbe decidersi al gesto estremo il prossimo presidente della Repubblica. Ma dall’attuale inquilino del Quirinale, bisogna aspettarsi un solo verdetto: “no”.
Pacco numero due. Il Quirinale.
Ci credo ancora meno. Berlusconi ormai non è un problema e credo che quindi si comporterà in modo responsabile.
Pacco numero tre. I processi. 
Arrivederci.
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