giovedì 13 ottobre 2011

Il presidente della Corte costituzionale: «Dopo la bocciatura del rendiconto, Berlusconi deve dimettersi»


Da Liberal 13 ottobre 2011

Roma. È un pasticcio di nuova ricetta, quello lievitato ieri dalle cucine di Montecitorio. Fino a ieri l’agenda di governo aveva mostrato spesso scarso feeling con la  Costituzione per via di alcuni disegni di legge puntualmente demoliti dalla Corte. Ma da oggi tiene banco in questa legislatura una nuova specialità. Il mancato rispetto dell’articolo 81 della Costituzione è costume talmente bizzarro da non essere previsto neppure dalla Carta. Le conseguenze sono talmente evidenti che le dimissioni di questo governo sarebbero giù dovute arrivare da un pezzo. Un’assunzione di responsabilità che nel maggio del 1973 portò Giulio Andreotti – unico precedente nella storia della Repubblica – a dimettersi dopo la mancata approvazione del consuntivo di bilancio. (Ma va precisato che le dimissioni furono respinte, e il voto di fiducia che ne derivò permise all’Andreotti II di restare in piedi per altri quindici giorni). «L’iter del rendiconto generale dello Stato è da considerarsi concluso», ha decretato ieri la Giunta per il regolamento della Camera. Montecitorio «non può andare avanti con l’esame del ddl perché la bocciatura dell’articolo 1 preclude i restanti articoli». Specie perché preclude, soprattutto, il funzionamento della macchina amministrativa di questo Paese per i prossimi mesi. «La mancata approvazione dell’articolo 1 del rendiconto», spiega a liberal il presidente emerito della Corte costituzionale, Piero Alberto Capotosti, «viola l’articolo 81 della Costituzione in quanto esso impone che le Camere approvino ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo. Importa poco che la bocciatura dell’articolo sia stato considerato un episodio fortuito. L’approvazione dei conti dello Stato è condizione irrinunciabile perché la macchina statale sia in grado di funzionare. L’assenza del consuntivo equivale alla paralisi della pubblica amministrazione». Una situazione talmente paradossale, che rende ragione del duro monito lanciato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, all’indirizzo del governo. «La questione che si pone», ha osservato il capo dello Stato», «è se la maggioranza di governo ricompostasi nel giugno scorso con l’apporto di un nuovo gruppo sia in grado di operare con la costante coesione necessaria per garantire adempimenti imprescindibili come l’insieme delle decisioni di bilancio e soluzioni adeguate per i problemi più urgenti del paese, anche in rapporto agli impegni e obblighi europei». Il Quirinale ha avvisato Silvio Berlusconi, insomma. Dopo lo scivolone sul rendiconto, ha ricordato Napolitano, il premier «dovrà indicare la soluzione nel suo intervento».
Questa volta non si tratta di dare conto ai stanche lamentazioni dell’opposizione. La mancata approvazione del consuntivo annuale si è trasformato nel nodo scorsoio di questa legislatura. «Dal punto di vista politico», ragiona il presidente Capotosti, «è interessante notare come la mancata approvazione del consuntivo rappresenti di fatto un atto di sfiducia verso il governo. Il rendiconto è infatti strettamente collegato al bilancio preventivo, è l’atto di controllo di quel progetto contabile che investe il governo della fiducia delle Camere». Equivale, dunque, a una mozione di sfiducia. «Non approvare il rendiconto», osserva Capotosti, «al di là di giustificazioni che mirano a presentare la bocciatura come un incidente, significa stabilire la presenza di gravi discrepanze tra il progetto iniziale, rappresentato dal bilancio preventivo, e il risultato finale, rappresentato dal consuntivo. Si tratta insomma di un tradimento del mandato affidato al governo dalle Camere». All’indomani del pasticcio, all’interno della maggioranza il nervosismo è palpabile. Tant’è che dopo un terribile autogol come la bocciatura del rendiconto, e la defezione di molti sostenitori della maggioranza che ritenevano per loro stessa ammmissione il voto tutt’altro che decisivo, Sandro Bondi commenta: «La troppa eccitazione per il desiderio di afferrare il potere fa commettere gravi errori». «Le dimissioni dell’attuale governo sarebbero politicamente corrette», precisa il presidente emerito della Corte costituzionale, Piero Alberto Capotosti, «sebbene non esista sul punto obbligo giuridico. Il governo non è caduto su una legge qualsiasi e non può derubricare l’accaduto a semplice inciampo procedurale». E della stessa opinione è anche il presidente emerito della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli:  «Quello che è accaduto, può voler dire che non c’è più consonanza tra maggioranza e Parlamento». Di soluzioni al rebus, in queste ore ne circolano di varie e disparate. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha suggerito ad esempio «di procedere con la lettura e l’approvazione degli articoli, visto che l’art.1 è un cappello che non contiene cifre». E semmai non fosse possibile, spiega, «si dovrà trovare una soluzione alternativa, tenendo conto che il rendiconto dello Stato è un elemento imprescindibile su cui ovviamente il governo otterrà in tempi molto rapidi l’approvazione del Parlamento, anche con una riformulazione del complesso delle norme».
Secondo Frattini «si potrebbe pensare a un maxi-emendamento, ovvero alla soluzione di approvare gli articoli che restano e invece del cappello iniziale, aggiungere come emendamento un articolo finale». Una diversa formulazione della legge che approva il rendiconto, potrebbe riacciuffare per i capelli l’ordinaria amministrazione del Paese, certo. Ma resterebbe il problema della legittimità. La via maestra per uscire dall’impasse è indicata da Piero Alberto Capotosti: «Il mancato assolvimento di un compito di rilievo costituzionale come quello dell’approvazione del consuntivo», argomenta il presidente emerito, «richiede a mio avviso una nuova investitura del Colle, e una nuova legittimazione a governare di fronte alle Camere».
La procedura in grado di restituire al governo Berlusconi piena legittimità è indicata da Capotosti in questi termini: «La soluzione del dilemma potrebbe consistere in un percorso arduo ma necessario. Se il presidente del Consiglio si recasse al Quirinale e presentasse le dimissioni, il presidente della Repubblica avrebbe facoltà di respingerle e di rinviare il premier alla fiducia delle Camere. Se Berlusconi la dovesse ottenere, riconquisterebbe la legittimità necessaria per adottare una diversa formulazione della legge di approvazione del consuntivo. Si tratterebbe insomma di una sorta di Berlusconi bis». La scappatoia suggerita da molti esponenti della maggioranza, che pensano a una nuova navetta del consuntivo, non è dunque così agevole come sembra.
«Di rigore», spiega Piero Alberto Capotosti, «la legge sul consuntivo dovrebbe essere riformulata all’articolo 1 che è stato bocciato. Naturalmente si tratterebbe di una diversa formulazione soltanto sul piano formale». Resterebbe però intatto, il vulnus costituzionale stabilito dalla sfiducia di fatto sul rendiconto. Qualcuno sussurrava ieri di un intervento della Corte costituzionale per sanarlo. Uno scenario respinto con forza dal presidente Capotosti: «In questo momento è un’ipotesi giuridicamente infondata». (f.l.d)

1 commento:

  1. un'affermazione inutile, per un dipendente dello stato, il governo ha il potere legislativo ed esecutivo, spetta al premier l'indirizzo politico economico dello stato, solo lui ha il diritto di dirigere tutta la struttura dello stesso

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