Roma. In un’aula semideserta, Silvio Berlusconi sale in cattedra per trentacinque
minuti cercando di rassicurare tutti sulla tenuta della maggioranza. Ma la
reazione più entusiastica che riesce a suscitare il presidente del Consiglio è
nella collezione di sbadigli di Umberto Bossi. Durante il discorso del premier,
il Senatùr dilata le mascelle per diciotto volte: uno sbadiglio ogni due
minuti. Ciononostante il leader della Lega assicura che «Sì. Il discorso di
Berlusconi mi ha convinto». Il sonno porta consiglio. Sfiduciato di fatto all’indomani
dell’approvazione del rendiconto, intenzionato a rispedire al Senato la legge
sul consuntivo bocciata a Montecitorio, «Berlusconi ha scelto di ricorrere a
una linea difensiva per limitare i danni», spiega a liberal il presidente emerito della
Consulta, Cesare Mirabelli. «La strada maestra che gli avrebbe permesso di
riavere piena legittimazione di fronte alle Camere», spiega l’ex vicepresidente
del Csm, «avrebbe dovuto essere quella delle dimissioni, e di un eventuale
incarico bis».
Giorgio
Napolitano aveva chiesto ieri al presidente del Consiglio una
soluzione al pasticcio e una prova di operatività da parte del governo. Ma
anche nel discorso di ieri, il premier è riuscito a confezionare solo qualche
alibi e la solita misticanza di slogan.
In
piedi di fronte alla Camera semivuota, pareva di rivedere in
lui quell’indimenticabile professore Lamis di Pirandello: l’uomo che credeva di
parlare a decine di studenti, e che invece faceva lezione a impermeabili e
cappelli lasciati sui banchi. «Parlare di sfiducia è atto improprio perché non
è stato approvato il rendiconto», ha detto Berlusconi, che però a derubricato
la legge che approva il bilancio consuntivo a un «atto contabile». E pazienza
se è incidentalmente previsto dall’articolo 81 della Costituzione. «È una legge
caratterizzata dalla sua singolarità di natura finanziaria, ma ha pur sempre
forma di legge», commenta il presidente emerito Mirabelli. «L’approvazione del
bilancio consuntivo è un atto ricognitivo fondamentale perché di rilievo
costituzionale. Il Parlamento ne è il mandante rispetto al mandatario, in
quanto verifica che l’indirizzo adottato dal governo nel bilancio preventivo,
abbia seguito il percorso corretto», argomenta Cesare Mirabelli. In aula Silvio
Berlusconi ha dichiarato che «nell’approvare una legge sul rendiconto il cui
contenuto è inemendabile il Parlamento conferisce una copertura legislativa al
procedimento di accertamento e di verifica dell’anno precedente. In caso di
votazione negativa di una Camera è del tutto improprio parlare di sfiducia».
Eppure l’effetto prodotto è del tutto compatibile con la stessa. Perché mette
in discussione, sul piano formale, il rapporto fiduciario che lega le Camere e
il governo. «Nel caso della mancata approvazione del rendiconto», chiarisce il
presidente emerito della Consulta, «le dimissioni non sono un effetto
automatico o reso obbligatorio dalla legge. Tuttavia l’episodio verificatosi in
Aula è un atto di manifestazione di non consonanza tra Parlamento e governo, in
quanto inficia un obbligo di rilievo costituzionale. Si tratta insomma di un
atto di sfiducia sostanziale».
Berlusconi
avrebbe dovuto dimettersi, dunque? «La risposta alla domanda
viene da un esempio semplice», osserva il presidente Mirabelli. «Che cosa
succede quando l’amministratore di un’azienda presenta all’assemblea un
bilancio che infine non viene approvato? Succede che l’amministratore si
dimette», chiarisce il giurista. Silvio Berlusconi, dopotutto, ha il diritto di
restare in sella? «Dopo l’incidente sul consuntivo», annota Mirabelli, «il
presidente del Consiglio avrebbe dovuto preferire le dimissioni. Queste
avrebbero portato a un reincarico, probabilmente, che gli avrebbe dato la
possibilità di chiedere la fiducia alle Camere alla luce di una legittimità
piena. La scelta di non passare per il Colle, pur se legittima, priva invece il
presidente del Consiglio di quella piena autorità che gli concede la Carta. La
scelta adottata dal premier è una “opzione minor”. Ma per dirla con le parole
dell’uomo della strada, finché Berlusconi ha la maggioranza, il Parlamento se
lo deve tenere». In vista del voto di oggi, i segnali non sono certo
rassicuranti. «Domani voto la fiducia. Dopo si vedrà», argomenta il deputato di
Popolo e territorio Maurizio Grassano. E anche se gli scajoliani assicurano a
Berlusconi di voler rimettere il coltello nel fodero, la corrente malpancista
lascia trasparire anche questa che per oggi non faranno mancare il sostegno al
governo. E che sullo sviluppo e sulla scossa, promessi dal premier, vogliono
ancora essere fatti persuasi. «È chiaro che gli amici che si sentono a disagio
nel Pdl hanno tutto il nostro rispetto e attenzione. È un disagio che in queste
ore si sta moltiplicando», rincara
il leader centrista Pier Ferdinando Casini. Mentre sull’ipotesi di andare a
rafforzare la maggioranza, Casini è tranchant: «È una cosa che è quasi ridicola
da immaginare». Brutte notizie anche dall’Mpa di Raffaele Lombardo. I quattro
deputati del Movimento per l’autonomia oggi non voteranno la fiducia al governo
Berlusconi.
E
c’è poi in dubbio anche la decisione di spostare al Senato la
legge sul consuntivo. È consentito, visto che una legge bocciata non può essere
ripresentata prima di sei mesi? «In questo caso credo sia preminente l’obbligo
costituzionale di approvare il bilancio», chiarisce Cesare Mirabelli. «Di
fronte a un evento così inconsueto ritengo si tratti di una soluzione
accettabile, purché sia rispettata l’avvertenza di modificare formalmente
l’articolo 1 che è stato bocciato a Montecitorio». Ma tra coloro che il presidente del Consiglio doveva e dovrà convincere
nei prossimi giorni, c’è anche lo spettatore più importante. «Da parte
del Quirinale c’è una alta vigilanza impeccabile, senza
interventi politici», ha detto il premier in un passaggio che sembrava voler
lenire con parole gentili le gravi perplessità del Quirinale. Basterà spostare
al Senato la legge sul rendiconto, per esaudire i desiderata del Colle? «Il
presidente della Repubblica è stato come sempre ineccebile», osserva Cesare
Mirabelli. «Il capo dello Stato aveva richiesto indicazioni più puntuali in
grado di segnalare l’esistenza di coesione e progettualità da parte del
governo. Si era appellato al senso di responsabilità politica del premier,
chiedendogli una soluzione», obietta il presidente emerito della Corte
costituzionale. Il monito del Quirinale ha dunque trovato una risposta adeguata
da parte di Silvio Berlusconi? «Questo bisognerebbe chiederlo al presidente
Napolitano». Mirabelli sceglie di rispondere con l’arguzia. (f.l.d)
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