Roma. L’intervista che l’amico Pisanu ha rilasciato a Repubblica mi conforta e allo stesso tempo non fa che accrescere la mia amarezza. Anche lui, come altri compagni d’avventura liberali e cattolici, sogna forse un partito diverso perché questo non rappresenta più i suoi valori. Non è difficile scorgere nelle sue parole il profondo disincanto che deve avergli istillato la tribolata vicenda di quest’ultima manovra finanziaria. Veti, giravolte e piccoli tornaconti personali che in alcuni casi hanno placato il dissenso, devono essere sembrati anche a lui la pietra tombale di un progetto liberale fondato su ideali non negoziabili. È nei momenti di crisi, che un partito rivela la sua capacità di tenere il timone. E invece, persino in un frangente tanto grave per il futuro del Paese, la logica funzionale ha prevalso ancora una volta sull’ideale. In molti, nel Pdl, hanno alzato la voce. Ma ciò è accaduto soltanto in funzione di una partita personale. In pochi hanno pensato invece alla partita che gioca il Paese. In troppi hanno taciuto in nome di un’utile quiescenza e di una regola sovrana che si chiama sottomissione. Sono molte le ragioni che hanno condotto il partito a questa deriva. La pretesa di modellare un organo politico a struttura piramidale, non è di per sé inammissibile. Ma senza i giusti collegamenti tra il vertice e la base, la storia ci insegna che la piramide crolla. Che essa diventa il rudere di quello che era stato. Penso a quei coordinatori che per anni sono stati i missi dominici del Presidente, che sono stati scelti univocamente sulla base della fedeltà al sovrano. Penso ai mille guasti che hanno prodotto tante caricature di satrapi locali legittimati dalla sola obbedienza. Penso alle troppe volte in cui si è lasciata cadere su tutti la responsabilità dei singoli. Quante volte il disonesto è sfuggito alle conseguenze delle sue azioni a scapito dell’onesto? Si è violato un principio giuridico che deve valere a maggior ragione a tutela della credibilità del partito e degli uomini che lo rappresentano. Né va nascosta la complicità di una legge elettorale che ha prodotto come unico risultato un sistema premiante a uso e consumo del Principe. Assemblare una corte di nominati, significa snaturare la spontanea partecipazione di individui liberi. Rinunciare a quello che da sempre è il patrimonio più prezioso di un autentico partito liberale. Ciascuno, nel Pdl, è dominus ex domino. Comanda. Ma a condizione che si faccia comandare dal sovrano. Non è mia intenzione produrmi in giudizi sui singoli. Oggi, come nel ‘94, continuo a pensare che gli imputati siano da presumere innocenti. Ribellarsi non è tradire, e mi chiedo a quanti militano in buona fede, se non sia arrivato il momento del coraggio. È il momento di far scedere dal trono gli uomini, e di rimettere al loro posto i valori. I grilli parlanti come me, sono stati circondati da troppi Pinocchio armati di matterello. Ma c’è un’altra soluzione che non sia l’esilio per chi chi intende discutere? Per carità di Patria bisogna sancire una volta per tutte, o forse per la prima volta, che l’esercizio del dissenso non equivale a un delitto di lesa maestà, ma è piuttosto partecipazione creativa necessaria per dare linfa al dibattito. Un elemento vitale, senza il quale il partito, come la pianta, non mette foglie né radici, ma muore lentamente. Chi mi conosce sa bene che ho sempre espresso le mie opinioni senza remore. E che non ho mai taciuto per trarre profitto dal silenzio. Qualcuno ha parlato di tradimento, ma non hanno tradito quanti hanno lasciato il partito che ho avuto l’onore di fondare con altri. Hanno tradito quelli che sono rimasti nel disagio di una cattiva coscienza, quanti hanno lasciato che il peggio avvenisse attraverso la quiescenza e la sottomissione. Se tradire equivale a difendere gli ideali che spiravano nel ’94 in un partito liberale di massa, allora sarete tutti persuasi che tradire è un atto di coraggio. A proposito della rivoluzione liberale che anche noi sognammo per questo Paese, già Gobetti disse che compierla sarebbe stata un’impresa ardua. Essa pone al centro l’individuo, la libera critica, sull’apporto di posizioni disomogenee. Ormai vent’anni fa, prim’ancora che nascesse, era difficile immaginare dunque che Forza Italia potesse trovare tale straordinaria adesione collettiva. Ma se per un verso il partito ha realizzato la sua vocazione collettiva, d’altro canto è vero che ha fallito. Il Pdl è oggi un partito di massa, ma nient’affatto liberale. È questo il partito della libertà che molti amici hanno sognato? Mi chiedo quindi se non sia giunto il momento di immaginare un incontro tra quanti, moderati e liberali, hanno a cuore l’antica battaglia per un Paese nuovo. I motivi ispiratori che hanno portato alla nascita di Forza Italia permangono in vita ancora oggi, ma sono atrofizzati perché hanno perduto la loro capacità realizzativa. Credo che possano rifiorire pertanto in un’area di centro democratica e liberale che è la sola ad avere le carte in regola per affrontare le pressanti esigenze di un mondo nuovo. Sarebbe ingenuo pensare che la realtà contemporanea sia del tutto compatibile a quella che portò alla fondazione di Forza Italia. Ma è pur vero che, come ci insegna Cavour, per affrontare momenti delicati sia necessario “tornare allo Statuto”. Affidarsi ai valori liberali tanto trascurati in questi anni, significa immaginare una nuova forza, non conservatrice e non rivoluzionaria, ma soprattutto innovatrice. Parlo di una convergenza figlia di uno spontaneo atto costruttivo, ispirata alla concezione liberale di Malagodi: democratica e riformatrice, non del tutto uniforme ma contraria alla coazione che tanto male ha fatto all’Italia. Non ho la forza personale e politica per realizzare un progetto tanto grande. Ma ho dalla mia la persuasione che in tempi tanto duri, l’equilibrio del nostro Paese poggi sopra un filo. Molti, come me, hanno lasciato a malincuore Forza Italia, ma nessuno di loro ne ha abbandonato gli ideali. Molti ripensano con nostalgia e delusione a quel partito liberale di massa che avevamo sognato. In fondo tutti gli esuli sognano di tornare prima o poi nella propria casa. Ma per tornare a casa, occorre coraggio. (testo raccolto da f.l.d)
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