Roma. Questa volta ha vinto la naturale ritrosia verso le aule di tribunale e si è presentato puntuale in procura. Attorno alle undici Silvio Berlusconi si è materializzato a Milano per prendere parte all’udienza sul caso Mills che lo vede imputato per corruzione in atti giudiziari. Pur di presenziare alla ripresa del dibattimento dopo la pausa estiva, il presidente del Consiglio ha persino cambiato in corsa la sua agenda. Quella diurna, per lo meno. Il premier ha infatti annullato la trasferta a New York dove avrebbe dovuto partecipare all’assemblea dell’Onu con all’ordine del giorno il conflitto israelo-palestinese, forse nell’intento di placare l’opposizione che ne critica la scarso feeling con i processi a suo carico. Ma il presidente del Consiglio non si è concesso però stavolta all’usuale conferenza pre-processuale che di solito lo vedeva arringare piccoli gruppi di pensionati chiamati ad applaudire le sue tirate contro la magistratura cancerosa. Per il semplice fatto che questa volta non c’era nessuno. Neanche a pagarlo. Ad attendere il premier c’erano invece i giornalisti, che prima dell’ingresso in aula si sono limitati a rivolgergli un quasi ironico “come sta?”. «Io bene, voi invece avete delle brutte facce», ha risposto difilato. Soltanto una rapida gag, purtroppo l’unica della giornata. Perché una volta uscito dall’aula verso le 13 e 20, Berlusconi non ha rilasciato altre dichiarazioni ai cronisti, affidando loro nient’altro che il sorriso di fabbrica. E così, ma tu guarda che strana giornata, la battuta per i taccuini la regala nientemeno che il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. «Si apre all’Onu un’assemblea di straordinaria importanza», ha detto, «che discuterà con la presenza di tutti i leader del mondo del Medio Oriente, della Libia, e comincerà a discutere della rivendicazione palestinese ad essere uno stato». «Ci saranno tutti», ha ammonito Bersani, «ma l’Italia non ci sarà, perché evidentemente per Berlusconi ormai è più imbarazzante il tribunale dell’Onu del tribunale di Milano». D’altra parte non c’era granché da preoccuparsi, per l’ipotesi di reato che gli hanno contestato i magistrati milanesi. Vera o falsa, l’accusa di aver versato 600mila dollari all’avvocato inglese David Mills affinché rendesse una testimonianza piuttosto “timida" sulle tangenti alla Guardia di finanza e All Iberian, reca come data di scadenza febbraio 2012. Quando preferibilmente scatterà la prescrizione, secondo apposita legge ex Cirielli confezionata su impulso dello stesso imputato. Forse la ragione che ha spinto il Cavaliere a definirlo «un processo già morto». Almeno per lui. Perché Mills ha invece ricevuto una condanna per corruzione in primo e secondo grado, per godere della prescrizione a reato ormai accertato: è stato giudicato corrotto, è stato provato che il denaro da lui percepito sia servito a salvare da gravi accuse il presidente del Consiglio, e tuttavia non sarà forse possibile individuare il suo corruttore. Perché a rigor di logica, esiste un corrotto soltanto se c’è un corruttore. E se non c’è un corruttore, esiste soltanto un idiota. Un’aporia che sarà stata fortemente sentita anche dai magistrati milanesi che lavorano sul caso Mills. E che hanno la ferma intenzione di arrivare a sentenza. Nel pomeriggio giudici hanno infatti accolto la richiesta del pm Fabio De Pasquale, stornando una decina di testi richiesti dalla difesa, evidentemente ritenuti innecessari. Il nuovo calendario prevede quindi solo la deposizione di Mills, il 24 ottobre, e quella dello stesso Berlusconi, quattro giorni dopo. Che tradotto vuol dire la concreta possibilità di arrivare alla fine del processo prima che scatti la prescrizione. Con una condanna o un’assoluzione. «La presenza della difesa è ormai inutile in questo processo», ha commentato l’avvocato difensore del premier, Niccolò Ghedini. C’è da capirlo. La presenza della difesa è molto più utile in Parlamento. Ma se l’improvvisa accelerazione impressa dai pm ha trasformato la giornata milanese da interlocutoria a preparatoria di un altro caldissimo scontro tra stati di diritto paralleli, a Napoli non si registrano novità. Da più di ventiquattro ore è scaduto il limite massimo fissato dai pubblici ministeri partenopei per sentire Silvio Berlusconi in qualità di parte lesa nell’inchiesta sulla presunta estorsione attuata da Tarantini e da Lavitola. E se i legali del premier dovessero reiterare nei prossimi giorni l’indisponibilità del loro assistito, i magistrati potrebbero forzarne la volontà attraverso l’accompagnamento coatto in tribunale. La decisione dovrebbe passare in ogni caso dalla preventiva autorizzazione della Camera. Ma il capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto, ha sentito comunque la necessità di mettere le mani avanti. Se arrivasse la richiesta dei giudici «noi gliela rimandiamo subito indietro», ha tuonato il deputato pidiellino spacciando la cosa per un’incredibile notizia. «Spero che non facciano un atto di così grave irresponsabilità e così marcatamente destabilizzante». ha aggiunto usando termini che sarebbero calzati a perfezione alla sua vecchia cara P2. Tutto secondo copione dell’ultimo libro contro le toghe rosse consegnato agli annali dallo stesso Cicchitto: “L’uso politico della giustizia”. Che vista l’esperienza cumulata da mattatore (37 leggi ad personam votate senza neanche pensare) in questi anni di berlusconismo, avrebbe potuto incidentalmente dissertare anche su “L’uso giuridico della politica”. Un filino destabilizzante anche quello, non c’è che dire. Proprio come un membro della P2 che riscuote ogni mese laute cifre da parlamentare per decidere il destino del Paese.
Ma la procura di Napoli sembra voler gettare al momento acqua sul fuoco. Prima di dare corso a iniziative formali, la procura campana attenderà che si definisca la questione della competenza. E soltanto in secondo momento, come spiegato dal procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore, si passerebbe alla richiesta di accompagnamento coatto in tribunale per Silvio Berlusconi. Per il quale, ha chiarito lo stesso procuratore, non è stato fissato “nessun ultimatum”. Il provvedimento, ha assicurato Lepore, costituirebbe semmai soltanto una “extrema ratio”. Il pool di onorevoli-legali al servizio di Berlusconi difficilmente consiglieranno però al loro assistito-capo di partito di testimoniare. Gli avvocati temono infatti che la convocazione dei pm napoletani sia una sorta di trappola per il loro cliente. Uno stratagemma che potrebbe farlo entrare in Procura da testimone per farlo uscire da indagato. I difensori del premier hanno di che preoccuparsi, in effetti. Ascoltato nel ruolo di testimone, il premier infatti non avrebbe modo di preparare con loro una linea processuale, e di parlare insomma a ruota libera. Circostanza che di solito, fuori o dentro dai tribunali ha sempre messo il Cavaliere in un mare di guai. Per concludere, arrivano ulteriori sviluppi, anche dalla procura di Bari, dove conclusa l’indagine sulle escort portate da Gianpaolo Tarantini nel lettone del premier, si è aperto un nuovo filone investigativo che riguarda il tentativo, poi fallito, di Gianpi di mettere le mani su appalti di alto livello: un affare da 55 milioni da smembrare e da far vincere agli amici. A quella riunione parteciparono Tarantini, Lea Cosentino (all’epoca dg della Asl Bari e perciò ribattezzata ’lady Asl’) e gli imprenditori pugliesi Cosimo Catalano della ’Supernova’ di Lecce ed Enrico Intini. Poi dicono che l’utilizzatore finale delle escort fosse il povero Silvio. A lui, semmai, non resta che il lamento di Carlo Martello, di cui, secondo la D'Addario non può portare degnamente il soprannome metaforico. («Si è scusato, ha fatto cilecca ma ha giurato che era la prima volta», tramanda la donna con tenerezza materna). Gli altri si prendono Finmeccanica con quattro baldracche sovrapprezzo da girare al pollo di turno. E a lui, il Cavaliere tocca invece solo il rimpianto del re dei franchi: «È mai possibile o porco di un cane che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane?». E dire che «pria di (s)partire v'eran tariffe inferiori alle tremila lire». Maledetto euro. (f.l.d)
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