giovedì 30 giugno 2011

La manovra economica in stile Scilipoti: processo breve, misure fittizie e tanta voglia di tirare a campare invece che tirare le cuoia

Roma. Lo stato confusionale di una maggioranza sempre più allo sbando, finita sotto sull’articolo 1 della legge comunitaria, e quindi costretta a ritirare una normativa che doveva recepire le importanti indicazioni dell’Unione europea, la dice lunga sul tipo di clima che spira oggi sul Consiglio dei ministri chiamato ad approvare la manovra economica. Fa bene Fabrizio Cicchitto a minimizzare il disastro che ieri ha visto l’opposizione prevalere con 270 voti su una maggioranza che ha registrato moltissime assenze. Più che «un incidente», come lo definisce Cicchitto, un incidente probatorio che certifica l’irresponsabile agonia di una maggioranza destinata allo scacco, ma incapace di lasciare per il bene del Paese.
Non è un caso che alla vigilia del Cdm che dovrà approvare la contestata manovra finanziaria, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, abbia lanciato l’allarme. «Non c’è dubbio che chi prende delle decisioni oggi sulla situazione economica si prende delle responsabilità anche per domani», ha detto il capo dello Stato, che ha auspicato «una convergenza nell’interesse del Paese». Un auspicio doveroso, che cela però la grande inquietudine del Quirinale verso la manovra. A parole doveva dimostrare agli italiani che l’esecutivo mira a salvare i conti pubblici del Paese con animo responsabile. Ma di responsabile, nella bozza, c’è solo la logica Scilipoti trasferita alle nostre finanze: tirare a campare perché del doman non v’è certezza. Nessuna certezza tranne quella che lacrime e sangue saranno versati da chi verrà dopo di loro. Il progetto di recuperare meno di due miliardi per il 2011, cinque e mezzo l’anno prossimo, e quaranta tra il 2013 e il 2014, divisi in due comode tranche da venti miliardi ciascuna, significa soltanto una cosa. Che in questo compromesso al ribasso, tutti ci guadagnano qualcosa. Bossi incassa la modifica del Patto di stabilità da Tremonti e dà in cambio l’ok per la spazzatura di Napoli al Nord. Silvio ottiene una proroga all’agonia del suo governo – e cioè la possibilità di continuare a sfuggire alla giustizia – grazie al processo breve che ricompare con il copia e incolla, in modo incredibile, dentro la manovra. E Tremonti strappa a Berlusconi una tregua sulle tasse: non le abbasserà, e che nessuno gli rompa più le scatole. Ma ciò che nessuno ci dice è che a causa di questo governo debole, scilipotizzato dal disastro delle regionali e del referendum, ci perde l’intero Paese. Rimandare il rientro di quaranta miliardi al 2013, equivale a dire che per i prossimi due anni i falchi della speculazione finanziaria volteggeranno su di noi, in attesa di sferrare il colpo finale che ci trasformerà nella prossima Grecia. E la preoccupazione del capo dello Stato emerge davanti ai taccuini dei giornalisti: «Il 7 giugno c’è stato un documento molto puntuale della Commissione europea, che riconosceva che lo sforzo fatto rende credibile la vigilanza dei conti fino al 2012, ma che occorrono misure addizionali per il 2013-14». E sulla manovra, ha aggiunto Napolitano, «si vedrà se sarà un provvedimento che già in questa fase entra nel merito del da farsi per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013-14 o no, ma non c’è dubbio che discutendone oggi, ciascuno si prende le sue responsabilità anche per domani». E se anche Giulio Tremonti ha dovuto cedere ai desiderata di Silvio, il quadro diventa inquietante. «Sono molto preoccupato per Giulio», dice a liberal Franco Reviglio, ex ministro delle Finanze e del Bilancio, che di Giulio Tremonti è stato il mentore riconosciuto. «Ho l’impressione», spiega Reviglio, «che il ministro dell’Economia abbia dovuto cedere a un compromesso politico. Rimandare i quaranta miliardi di euro da recuperare al 2013 e il 2014, significa scaricare su chi verrà dopo i problemi di questo Paese. Ma la vera domanda da porsi è: “Basteranno i sette miliardi di tagli previsti tra quest’anno e l’anno prossimo per mettere in salvo il Paese dalla speculazione finanziaria?”. Anche se la Grecia ha approvato la manovra, il pericolo per i nostri conti resta alto. Abbiamo soltanto guadagnato un po’ di tempo». Ma al danno, ieri si è aggiunta la beffa, dicevamo. Nelle ultime venti pagine della bozza della manovra economica è stato abilmente annidato anche il processo breve, che cancella la maggior parte dei processi del presidente del Consiglio, e gli altri 100mila di cui avevano parlato il Csm e Anm dei mesi scorsi. Scorrere la bozza ha dell’incredibile: in capitoli che dovrebbero riguardare la gestione economica della cosa pubblica, compaiono interi paragrafi del disegno di legge più noto come “ammazzaprocessi”. Parola per parola, senza neppure il disturbo di confondere le acque. Nell’articolato si legge infatti che «Il processo penale si considera iniziato alla data di assunzione della qualità di imputato. Non rilevano, agli stessi fini, i periodi conseguenti ai rinvii del procedimento richiesti o consentiti dalla parte, nel limite di novanta giorni ciascuno». E sui tempi del processo, si ribadisce che «Non sono considerati irragionevoli, nel computo del periodo di cui al comma 3, lettera a), i periodi che non eccedono la durata di due anni per il primo grado, di due anni per il grado di appello e di ulteriori due anni per il giudizio di legittimità, nonché di un altro anno per ogni successivo grado di giudizio nel caso di giudizio di rinvio. Il giudice, in applicazione dei parametri di cui al comma 2, può aumentare fino alla metà i termini di cui al presente comma».
Chiave di volta per capire l’inghippo è la legge Pinto sull’equa riparazione, che prevede un indennizzo se il cittadino si trova ad affrontare un processo di primo grado più lungo di tre anni. La manovra stabilisce invece che il nuovo termine massimo scende a due anni, e che il termine decorre dal momento della richiesta di rinvio a giudizio. E non dall’inizio del processo. Giustappunto una soluzione ad hoc per l’imputato Berlusconi. Lo stesso che lascia al prossimo governo 40 miliardi sul groppone. E un futuro ancora più precario di questo terribile passato prossimo, chiamato berlusconesimo.
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