mercoledì 29 giugno 2011

Il Csm boccia l'emendamento Pini, un altro dei bacilli vergognosi iniettati nel cuore della democrazia

Roma. Annidato nella legge comunitaria 2010 tra una regola per etichettare la mortadella e una sanzione per le uova avariate, il microscopico batterio inoculato dal leghista Pini aveva rischiato di far andare a male anche gli ultimi brandelli sani della nostra democrazia. Era stata la piddina Donatella Ferranti, a scovare l’ultimo dei simpatici bacilli sperimentati contro le toghe rosse negli indefessi laboratori berlusconiani. Che cosa ci facesse una legge contro i giudici in un disegno di legge che doveva accogliere gli obblighi derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, non è dato sapere. Ma certo è che il simpatico bacillo aveva i tipici tratti dell’Escherichia coli. Invisibile a occhio nudo, trasmesso per via oro-fecale direttamente alla penna dell’estensore, e a forma di bastoncello diritto. Puntato contro i giudici cancerogeni, naturalmente. E cioè tutti, tranne quelli che non non siano papabili, o già papati, nel Pdl.
E proprio sull’emendamento Pini, si sono espresse ieri le toghe in un documento. Le nuove norme, scrive il Csm in un parere approvato a larga maggioranza (19 sì contro 4 no), sono un «rischio» per i «principi di autonomia e indipendenza della magistratura». Stabilire infatti che i giudici siano punibili non solo per dolo o colpa grave come allo stato attuale, ma anche per «manifesta violazione del diritto» come vuole il leghista Pini (non proprio un giurista, visto che è un perito industriale che opera nel ramo alimentare), significa pressoché processare i giudici ad libitum, e cioè secondo gli interessi della personam (la solitam) che si ritiene danneggiata, ad esempio. L’emendamento, denuncia il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, introduce «una responsabilità civile dei giudici sostanzialmente senza limiti, in contrasto con l’indipendenza dei giudici e con il diritto dell’Unione europea, che la impone». Le conseguenze di un simile intervento sono presto dette. «È evidente», spiega il Csm, «che un rischio eccessivamente elevato di incorrere in responsabilità civile diretta o indiretta avrebbe un effetto distorsivo sull’operato dei magistrati, i quali potrebbero essere indotti, al fine di sottrarsi alla minaccia della responsabilità, ad adottare, tra più decisioni possibili, quella che consente di ridurre o eliminare il rischio di incorrere in responsabilità, piuttosto che quella maggiormente conforme a giustizia».
Il documento approvato dal plenum dei magistrati, precisa poi che al contrario di quanto sostenuto dai berluscones, l’emendamento Pini non ci è stato imposto dalla Corte di giustizia europea al fine di modificare radicalmente la disciplina sulla responsabilità dei magistrati. Ma che lo siamo imposti da soli, e peraltro siamo gli unici che in Europa ne hanno sentito la necessità. Contrariamente alle quotidiane geremiadi dei pidiellini, i giudici non affatto a legibus soluti, come loro sognerebbero di essere, in un tipico fenomeno di transfert freudiano. Le norme che regolano la responsabilità civile dei magistrati, sono infatti in Italia le stesse che valgono per tutti i dipendenti pubblici. Motivo per cui il Csm bolla l’emendamento Pini come «un inedito nel panorama europeo». Ad eccezione dei membri laici del Pdl, Annibale Marini, Filiberto Palumbo, Bartolomeo Romano e Nicolò Zanon, che non hanno approvato il documento, e hanno accusato invece il Consiglio superiore di comportarsi come una «Terza Camera», in quanto l’opinione espressa dal Csm è arrivato in coincidenza con l’esame dell’emendamento ieri al vaglio della Camera. Come dire che se il Parlamento discute una legge che obbliga tutti a cantare “Meno male che Silvio c’è” in pausa pranzo, è vietato prendere posizione. Bisogna farlo dopo, quando abbiamo già tutti la bocca impegnata, e nessuno penserà che il fine della protesta è passare per la “Terza Camera”.
E difatti, il vicepresidente del Csm, il centrista Michele Vietti, ha replicato ai membri laici: «Se non ora quando?». «È doveroso esprimersi prima che le norme siano approvate», ha ricordato l’ex deputato udc, anche per «segnalare al ministro eventuali ricadute negative». E che Giorgio Napolitano, che di Palazzo dei Marescialli è il presidente, ha dato il via libera alla discussione. Ma il documento del Csm ricorda anche che all’articolo 47, la Carta di Nizza «impone come garanzia fondamentale l’indipendenza del giudice mentre l’attuale formulazione della norma prevede la responsabilità diretta del giudice senza limiti». Ragion per cui, argomenta il primo presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, «è anomalo e paradossale che un adattamento a una legge comunitaria sia invece in contrasto con il diritto dell’Unione europea».
E visto che il problema non è chi intercetta i reati di una classe dirigente tra le peggiori mai apparse in Italia, ma chi ne scopre come minimo l’indegnità morale, non si perde tempo neppure sulle legge bavaglio per fermare le intercettazioni che hanno fatto emergere la P4. In prima linea c’è Fabrizio Cicchitto, che essendosi fermato alla P2, probabilmente si sente scavalcato dai tentativi d’imitazione dell’originale. Ma nel pomeriggio, anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini, rilancia: «Rinnovare l’offerta di un dialogo all’opposizione sulle intercettazioni è giusto e saggio», nonostante il niet della Lega. «Abbiamo escluso subito si possa parlare di un decreto legge», aggiunge Frattini,«ci sono provvedimenti già in Parlamento ed è possibile già lavorare su quelli». Sarebbe un peccato buttare tre anni di duro lavoro, sempre sulla stessa cosa. E poi perché indagare sulla integrità delle istituzioni, quando si ha la possibilità di fare una bella commissione d’inchiesta su ciò che invece è del tutto legittimo? Frattanto, il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa chiude la porta: «Temiamo che a Berlusconi interessi solo riprendere al più presto la sua guerra personale con i giudici. E noi, naturalmente, non lo seguiremo. Non sono le intercettazioni, i processi brevi e lunghi, i provvedimenti punitivi nei confronti dei pm, gli attacchi al Csm, la priorità dell’Italia». Sordo al dialogo, sembra anche il Pd. «Per fare luce sulle trame oscure della P4 e sulla rottura delle regole democratiche secondo noi occorre una commissione di inchiesta del Parlamento», precisa il deputato Roberto Zaccaria. Eppure il ministro Frattini assicura che «ci sono dei principi, come il divieto della pubblicazione di atti non penalmente rilevanti, su cui anche la sinistra è d’accordo». Le cose, come spesso accade quando il Pdl tenta di descrivere la realtà (tipo le bombe pacifiche in Libia) stanno esattamente al contrario. Pier Luigi Bersani ha ricordato che «è inutile che il governo citi la proposta Mastella. Se gli va bene la nostra noi ci stiamo. Il problema è che a Berlusconi non va bene questa soluzione». E considerato che anche Massimo D’Alema sostiene che «ora è molto tardi per fare una legge sulle intercettazioni e del tutto inopportuno intervenire per decreto», è abbastanza immaginifico sperare che l’opposizione si presti al nuovo eccitante capitolo della legge bavaglio. Questione di eterogenesi dei fini. O meglio, per dirla con il lessico spiccio di Bisignani, «con le regole normali lo condannano sicuro, finisce la festa per tutti». Frase penalmente non rilevante, forse. Che purtroppo, adesso, gli italiani conoscono.
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