Da Liberal 24 giugno 2011
Il vento di primavera che ha scompaginato gli schemi geopolitici di mezzo mondo, non soffia soltanto nel Maghreb, ma anche nell’estremo Nord del Pianeta. Incruenta ma per certi versi altrettanto rivoluzionaria, la democrazia islandese si appresta infatti a sancire una nuova Costituzione. In crowdsourcing. E cioè sul modello Wikipedia, attraverso la potenziale partecipazione di tutti i cittadini del Paese.
Il Parlamento di Reykjavík ha già predisposto le tradizionali piattaforme come Facebook, Flickr, Twitter, e YouTube come veri e propri centri d’ascolto in cui ciascuno potrà formulare e rimodulare i passaggi della carta, dare suggerimenti, commentare, e criticare i passaggi più controversi alla ricerca del comma perfetto in grado di esprimere la voce della collettività. L’operazione è suggestiva, ma molto meno caotica e demagogica di quanto la si possa ritenere. Bisogna considerare infatti che la popolazione dell’isola atlantica, nota ai più per via dell’impronunciabile vulcano che fu responsabile delle ceneri che paralizzarono il traffico aereo alcuni mesi fa, conta trecentomila abitanti. E due terzi di loro, sono dotati di connessione internet. Dati che significano, insieme al livello di istruzione media assai elevato, soltanto una cosa: l’Islanda si avvia ad essere una nazione di padri costituenti.Indipendente dalla Danimarca dal 1944, l’Islanda è una nazione giovane ma molto fiera della propria peculiarità insulare. Fino al 2008 il Paese godeva di uno Human Development Index (Indice di Sviluppo Umano), che era secondo, in tutto il mondo, soltanto alla Norvegia. Ma non molti sanno che proprio in questa terra distante, non lontana dalla Groenlandia e che molti immaginano inospitale e appena uscita da un’era glaciale, i cittadini erano stati benissimo finché gli speculatori finanziari non ne minarono le fondamenta. È proprio qui che partì lo tsunami finanziario che ha travolto il Pianeta. Ma qui, trattandosi di un Paese civile, la vergogna è stata punita. Il governo aveva traccheggiato, prima di prendere posizione sul sistema bancario. A causa delle simpatiche politiche di Wall Street, le tre banche del Paese – Landsbanki, Glitnir e Kaupthing – operavano con un’esposizione di 11 volte il Pil islandese, chiaramente impossibile da rimborsare per gli istituti e per lo Stato. Il governo si offrì di rimborsare i correntisti inglesi e olandesi con le tasse dei cittadini. Ma gli isolani sono scesi in piazza, hanno votato contro il rimborso con un quorum del 93 per cento, hanno mandato a casa il governo “collaborazionista” e le banche sono state nazionalizzate. La nuova Costituzione on line è dunque l’atto che sancisce un mutamento politico incessante e prepotente, il culmine di un desiderio di partecipazione che restituisce davvero la res-pubblica ai legittimi proprietari. Va detto inoltre che l’Islanda non ha mai posseduto una costituzione propria, perché all’atto della proclamazione della Repubblica, l’isola si dotò della carta danese, ovviamente emendata ad hoc in quel passaggio che consegna l’autorità, invece che al re, al presidente della Repubblica. Ma l’attesa per la Costituzione 2.0 è stata preceduta da un lavoro preparatorio encomiabile. I venticinque costituenti che siedono in Parlamento da novembre sono stati eletti in base a requisiti elementari: la maggiore età e il sostegno di 30 persone. Tutti tranne i minorenni e gli eletti nazionali, in pratica: si sono presentati in 522, e venticinque di loro sono ascesi agli onori pubblici Dalle linee guida emerse in questi giorni, si possono già elencare alcuni principi cardine della Costituzione secondo gli islandesi: separazione tra Chiesa e Stato, la nazionalizzazione di tutte le risorse naturali e una chiara separazione di potere esecutivo e legislativo. Particolarmente sentito, dopo il tentativo di scippo delle solite multinazionali a caccia di business, i temi ambientali. È prevista infatti nella nuova Carta una stretta a tutela del patrimonio paesaggistico dell’Isola, che vanta più di ottanta tar parchi, monumenti naturali, riserve paesaggistiche e rifugi faunistici. Basti dire soltanto che il Paese ha il miglior indice di performance ambientale del 2010: qualità dell’aria, utilizzo delle risorse idriche, forestali, sfruttamento della pesca, biodiversità e agricoltura, sono quanto di meglio c’è al mondo in termini di qualità e sostenibilità. Un vero paradiso perduto, che suggeriremmo di cuore per il buen retiro del nostro presidente del Consiglio. Non fosse che al momento governa una coalizione di sinistra formata da socialdemocratici, femministe ed ex-comunisti. E che qui, tendenzialmente, la legge è uguale per tutti.
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