Roma. Lui è lui. Ma non è vero che noi non siamo niente. Prima siamo stati lo specchio in cui ha imparato a mimarci. Durante, lungo una carriera cinematografica irripetibile, ci ha presi a braccetto e ci ha fatto diventare macchiette. Ma oggi, famosi nel mondo, compiaciuti da tanta nomea, noi ne siamo la caricatura. Raffinata, parodica, o a volte soltanto ridicola. Noi italiani siamo figli degeneri di Alberto Sordi, insomma. Ostaggi felici, talvolta inconsapevoli, dei suoi personaggi.
Simile a Onofrio del Grillo, è ad esempio Luigi Bisignani. Soffre mortalmente il sistema di vincoli, di convenzioni, di dogmi arcaici e di libertà limitate del Paese. Ma come il nobile papalino non lo combatte perché ansioso di un mutamento: lo aggira da reazionario. Fa lobby per comodo, proprio ed altrui, ma a differenza del Marchese si riserva certe spavalderie («nà stronza, nà mignotta come poche») per le chiacchiere telefoniche. Come del Grillo, ama ordire scherzetti ai suoi nemici (dossier, intervistone, delazioni), ma non disdegna i poveri carbonari, ai quali spesso intesta le schede telefoniche che usa. Rispetto al mentore sordiano, non getta monete arroventate dal Palazzo. I soldi che scottano, lui preferisce non sprecarli. Sor Luigi è l’Onofrio del Grillo che si sente finalmente libero grazie al falso pudore della privacy. Le intercettazioni hanno dunque dato voce a quello che era il più conosciuto degli sconosciuti. Bisignani è il Marchese del Trillo.
Molto illuminante anche un altro personaggio di Sordi: il professor dottor Guido Tersilli. Che ha una storia molto simile a quella del nostro premier. Invece di inseguire i mutuati, neolaureato, comincia a inseguire i dindini, e grazie ad alcuni stratagemmi inizia l’attività quasi come un benefattore. Lavora per gli altri con animo prodigo, e presto si ingrazia un importante primario. Socialista, ma pur sempre potente. Grazie a lui, cominciano ad arrivargli parecchi mutuati, e autorizzazioni per mantenere quelli che ha già grazie ad apposite leggi. Ricorre ad ogni maneggio pur di strappare i legittimi mutuati ai loro medici. Ne ha moltissimi anche off-shore. E siccome l’Italia è il Paese che ama, decide di diventare primario dei primari, e di curarla a modo suo. Oggi gestisce un immenso ospedale, ma sotto di lui sono proliferati tanti piccoli Tersilli meno scaltri. Il finale del film è grottesco: il nostro Guido, stremato da lunghe notti di lavoro, non è più il luminare di una volta. I pazienti li visita a casa. Ispezioni veloci, mentre sorseggia un drink nella sua terrazza. Non paga più lo Stato, come ai bei tempi. Paga lui, in regime di libera concorrenza. Effetti della rivoluzione liberale.
Di Nando Mericoni, poi, se ne potrebbero citare tanti. Ma Flavio Briatore è il nostro americano a Roma. Ad honorem. Nonostante un forte accento cuneese, e un diploma da geometra strappato da privatista, ci tiene a far sapere che è un uomo di mondo. Anche se lui a Cuneo non ci ha fatto nemmeno il militare. Perché è di Verzuolo, un posto che da inquieto cosmopolita ha ribattezzato “Congo”. Ha chiamato suo figlio Nathan Falco, infarcisce il piemotese fluente di continui “business”, e veste come Poncharello. A furia di dire «All right, all right», all’estero ci è stato qualche tempo. Ma i maccheroni più gustosi se li è gustati qui in Italia. Più di qualcuno gli è andato di traverso. Non ci sono Sordi peggiori, di chi è Sordi veramente. (f.l.d.)
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