lunedì 30 maggio 2011

«I numeri non mentono, l'Italia sta per diventare la prossima Grecia»: Giorgio La Malfa e Irene Tinagli fanno il punto sulla crisi

Roma. Ladri d’auto, zingari, drogati, toghe rosse, ciellini, finiani, insegnanti e grillini. Nell’infinita lista di congiurati che remano contro il partito dell’Amore si sono infine iscritti anche coloro che più di tutti vivono dai tempi di Pitagora al di sopra di ogni sospetto: i numeri. E così, dopo i cosacchi dell’Istat (15 milioni di italiani a rischio povertà, mezzo milione in più di disoccupati negli ultimi due anni, peggior tasso di crescita in Europa, consumi al palo e anzi in discesa), i trotzkisti della Corte dei Conti ( la crisi che pesa sul Pil per 160 miliardi) e i maoisti di Standard & Poor (declassamento dell’outlook italiano), oggi è toccato all’Inps rilanciare il complotto dei matematici comunisti: oltre metà dei pensionati non arriva a 500 euro al mese e otto su dieci non arrivano a mille euro lordi. Stavolta è toccato a Gianni Letta, sventare la macchinazione: «Non è vero che il Paese è allo sfascio. Ereditiamo problemi antichi». Come dire che il Colosseo non versa in condizioni pietose, è che Vespasiano l’ha fatto edificare in una zona piena di smog. Il nuovo fronte di battaglia del governo è quindi aperto: il Pdl contro l’ingratitudine dei numeri primi.

Possibile che i numeri mentano? «Se il governo arriva al punto di smentire un altro organo di governo come l’Istat – spiega a liberal il deputato del Terzo Polo, Giorgio La Malfa – vuol dire che hanno davvero toccato il fondo. La verità è che le bugie hanno le gambe corte, e la verità dei numeri sbugiarda questo governo su tutta la linea. I dati dell’Istat sono il certificato di morte di questo esecutivo: la prova provata del suo fallimento». E anche l’economista Irene Tinagli, docente all’Università Carlos III di Madrid, dirada in fretta qualsiasi dubbio sulla «francamente discutibile» realtà fotografata dall’Istat: «Il nostro è un Paese che è riuscito a tenere sotto controllo il deficit, ma il debito continua a crescere a dismisura e non ci sono in campo strategie capaci di lasciare presagire miracoli. Piuttosto, va considerato che la situazione è persino peggiore di quanto ci dice il rapporto Istat: i cassaintegrati vengono inclusi nel novero degli occupati, e tra i giovani senza lavoro non sono inclusi gli inattivi per effetto di una stima cautelativa: si tratta di milioni di persone che ormai si sono rassegnate e non cercano più lavoro. Non ha senso tentare di indorare la pillola con una selezione di pagine tratte dal rapporto Ocse: novanta pagine che si concentrano soprattutto sulla riforma universitaria, a fronte delle oltre 500 del nostro istituto». Da più parti arriva un messaggio chiaro: non basta tenere a posto i conti, perché senza crescita siamo destinati a sparire, e a stare sempre peggio. «Si sostiene disperatamente – commenta La Malfa – che la medicina dei tagli senza crescita non colpisce il tenore di vita degli italiani, ma poi la realtà ci dice che sempre più connazionali sono in sofferenza ed erodono i loro risparmi per sopravvivere, i disoccupati crescono, i giovani senza lavoro aumentano, i consumi diminuiscono e le fabbriche chiudono. I numeri inchiodano questo governo alla realtà, ma continuano a essere smentiti per non ammettere il fallimento: non hanno la forza di fare le riforme perché sono arrivati al punto di maggiore debolezza dell’intera legislatura. Soltanto un governo di larghe intese potrebbe avere la forza di cambiare passo». I dati più benevoli parlano di una «lenta ripresa», e si è fatto timidamente notare che c’è qualche segnale di recupero in ambito occupazionale. Irene Tinagli precisa però che «si tratta di lavoro a scarso coefficiente qualitativo, demansionato e del tutto estemporaneo perché precario. E che non compensa affatto quello a tempo indeterminato bruciato dalla crisi».

E la professoressa fa chiarezza anche sulla sbandierata ripresa dell’export: «Una mera illusione, perché in parallelo sono aumentati gli import ma questo non lo dice nessuno altrimenti l’effetto annuncio verrebbe guastato». «Il problema vero – spiega la Tinagli – è che le misure escogitate dal governo per contenere il tanto declamato contenimento del deficit non sono strutturali, ma piuttosto soluzioni una tantum non più ripetibili. Cè stato ad esempio il congelamento degli stipendi pubblici fino al 2013. Ma che cosa accadrà dopo che ci saranno elezioni? Non appena sarà scaduto l’effetto tampone, staremo peggio di prima». «Non servono piccole iniziative sporadiche, ma misure strutturali. Bisogna trovare il modo di continuare a tagliare il debito ma senza azzerare la crescita – conferma La Malfa – La scure non dev’essere diretta cioè sulla spesa sociale, ma sulle piccole roccaforti della politica.  Dovrebbero essere venduti beni pubblici non più necessari e poi quelle che io considero la mano morta delle forze di governo. A che cosa servono le municipalizzate che ormai da tempo non svolgono servizio pubblico e non garantiscono tariffe basse ai cittadini? E ancora, come si può pensare a una politica di sviluppo se i fondi della ricerca sono stati annientati?». «Il salto qualitativo del nostro sistema industriale – commenta Irene Tinagli – potrebbe portare nuovi posti di lavoro e opportunità di investimento, ma oltre al fatto che le imprese sono gravate da una fiscalità opprimente, c’è un dato politico indubitabile: gli investitori stranieri non hanno nessuna voglia di azzardare operazioni a largo respiro, in un Paese così instabile come il nostro». «Il governo avrebbe dovuto stimolare gli investimenti grazie alla stabilità – spiega La Malfa – ma Berlusconi ha perso ogni credibilità, e nessuno ha più intenzione di mettere una lira in un Paese che recita a soggetto. L’arte dell’improvvisazione e il folklore non attirano investimenti, ma soltanto prese in giro». «A differenza di quanto è stato percepito – chiosa la professoressa Tinagli – la pressione fiscale è aumentata, e molto di più avrebbero giovato alcune liberalizzazioni invocat da tempo e misure di supporto al lavoro giovanile. Un esempio su tutti è quello dei giovani avvocati consegnati alla mercè di studi legali che li sfruttano e ne ostacolano la crescita. Per contrastare il fenomeno Tremonti non ha cercato di facilitare il loro accesso al lavoro. Ha preferito tenere in piedi le barricate del numero chiuso perché, come lui stesso ha detto “ci sono troppi avvocati”». E quando si parla di giovani, la mente non può che correre allo scientifico smantellamento della pubblica istruzione e del diritto allo studio. «I tagli sociali sono stati fatti alla cieca. La verità è che la spesa sociale avrebbe potuto essere risistemata con un lavoro paziente di “spending revue” – spiega Giorgio La Malfa – che sarebbe dovuto partire a inizio legislatura, e che oggi avrebbe potuto produrre qualche frutto degno di nota. Peccato che nel 2008 il governo negava che ci fosse la crisi. Un po’ di pessimismo in più avrebbe giovato al futuro dei nostri giovani». «È la logica dell’ex-post la vera costante di questa legislatura – conclude Irene Tinagli –, scegliere di intervenire quando il dado è ormai tratto non porta che a soluzioni transitorie. Spostare i problemi in avanti non vuol dire risolverli. Una vera politica ecomonica dovrebbe saperci indicare la meta verso la quale siamo diretti». Un’idea della nostra possibile destinazione la suggerisce Giorgio La Malfa: «Prima ammettono il fallimento, e più velocemente si può intervenire. Siamo all’ultimo chilometro che ci separa dalla Grecia».
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