giovedì 2 dicembre 2010

«Della realtà italiana meglio non parlare». Ecco Nelson, il nuovo grande disco di Paolo Conte

Dopo l’infausta avventura nei territori sintetici di Psiche, più di qualche critico aveva sfoggiato l’aria superciliosa delle grandi occasioni. Ma quando l’artista in questione ha il conforto anagrafico di chiamarsi Paolo Conte, gli scontri a fuoco si risolvono con una spolverata al paltò. L’avvocato con il ticchio del piano bar, non è tipo da patrocinare le cause di lesa maestà, e noncurante produce con Nelson una preziosa testimonianza a sua discolpa. Gioiosamente inattuale, restio ad ammannire i tiepidi consommé da supermercato del pop, il maestro artigiano confeziona quindici canzoni «per chi non è schiavo della moda e libero nei suoi pensieri». E nulla gli importa di apparire retrò, perché semmai il problema è conformarsi alla corrente per non sembrare antiquati nelle chiacchiere da salotto postmoderno. Mandato in soffitta l’inglorioso synth del precedente lavoro, Conte sciorina con Nelson il consueto repertorio di ballate d’altri tempi. Scanditi dal solito guazzabuglio di lingue, gli accenti gaddiani del maestro viaggiano tra napoletano e spagnolo, inglese e francese senza cercare le boe rassicuranti del marketing. Paolo tiene saldo il timone lungo le onde scintillanti della letteratura. Lungo la crociera nei suoni galeotti di una vita, guizzano le solite trovate brillanti che accostano lo spirito di Manitou e il Jeeves di Wodehouse, le «galosce selvagge dall’instancabile andar» e «l’esasperante languor di un’odalisca», le orchestrine di sapore felliniano insieme alla consueta passerella di ombrosi pagliacci e uomini da operetta impressi sulle note come primi piani cinematografici caduti per caso dentro a un pentagramma. Acronico e surreale, Conte lancia l’esca in mari disabitati, dove l‘attuale è una costa lontana che sbrillucica appena senza alcuna promessa. «Della realtà meglio non parlare – spiega Conte – Ci sono battaglie perse in partenza contro certi modi di fare, contro slealtà, cattiveria, volgarità, cattivo gusto, in generale e all’italiana». Resistenza senza consistenza, fragile e augusta perché serva soltanto del fantasticare. Il vascello di Conte è di nuovo su mare.

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