lunedì 29 novembre 2010

Magari i modi sono talvolta sbagliati, ma i giovani che protestano hanno ragione da vendere perché gli hanno rubato il futuro


Roma. Manifestazioni in tutta Italia, forti tensioni da Palermo, dove hanno lanciato petardi e fumogeni, a Torino, dove hanno occupato la Mole Antonelliana. E poi, secondo la triste abitudine consolidatasi da qualche tempo, cariche della polizia e tafferugli. Gli studenti universitari in rivolta contro la riforma Gelmini sono saliti sui tetti dei luoghi simbolo italiani per gridare il loro disagio. Anche a Roma, dove in netta contrapposizione con la diagnosi di Mariastella Gelmini, hanno affidato il malumore a uno striscione simbolico: “Né manager né baroni, i privati fuori dai maroni”. Ma il disordine impera per le strade, tanto quanto nei media, e non è facile tracciare una precisa geografia della protesta. «I media amplificano tutto, ma la verità è che la maggioranza degli studenti universitari è del tutto rassegnata ai cambiamenti imposti dall’alto», commenta Giulio Ferroni, ordinario di Letteratura italiana all’università La Sapienza di Roma. «I rivoltosi sono una minoranza – prosegue  Ferroni – mentre la maggior parte degli allievi solidarizza con la protesta in senso puramente simbolico». Meno disposto a concedere ragioni ai cortei di protesta è invece il sociologo Aldo Bonomi: «I giovani sono sempre indisponibili ad accogliere i cambiamenti, perché li reputano negativi a priori. La riforma Gelmini, che pure ha degli aspetti necessari a svecchiare gli atenei, viene percepita come una minaccia al loro avvenire». «Operazioni come l’assalto al Senato sono inqualificabili – annota Giovanni Sabbatucci, professore di Storia contemporanea alla Sapienza – Slogan e rivendicazioni sanno di vecchio e hanno una filosofia sorpassata, ma sebbene la riforma non sia male, all’origine della rabbia  c’è un fatto incontestabile: il blocco delle risorse rende qualunque intervento legislativo indigesto. Più che le nuove norme e gli accorpamenti dei dipartimenti, ai giovani interessa un dato preciso: non ci sono soldi per la loro istruzione, per il loro futuro e per la loro condizione precaria. È questo che muove la loro agitazione. Che seppure in forme sbagliate, è del tutto lecita».
Minaccia, paura per il futuro. Sembra la chiave di volta, a giudicare dalla concorde opinione di Giulio Ferroni: «Non è la riforma il vero motore delle proteste studentesche, ma piuttosto uno scontento esistenziale che origina da uno scarso o nullo interesse mostrato dalle istituzioni per l’avvenire dei giovani, per il loro lavoro e il loro benessere. Naturalmente il gioco di farli passare per terroristi ha la meglio su tutto, ma ciò che viene eclissato è un fatto drammatico e palese: il taglio dei fondi mette a rischio il futuro delle università e della formazione. E questo va detto senza inganni: la qualità e la completezza della didattica peggioreranno ancora di molto, e in certi casi studiare sarà per i meno abbienti ancora più costoso e difficile». «È la conseguenza più probabile – concorda Sabbatucci – il diritto allo studio, senza investimenti pubblici, diventerà sempre più debole a spese dei giovani che hanno condizioni familiari meno agiate». «Alla Sapienza non mi pare che la protesta abbia attecchito granché – osserva Tommaso Gastaldi, professore di Statistica nell’ateneo capitolino – ma certo è che le regole dei concorsi devono cambiare, bisogna debellare questo sistema di assunzioni di stampo mafioso, e non so se la riforma Gelmini, che insedia i privati nel management universitario, potrà risultare efficace in tal senso». «In qualche caso i baroni appoggiano la protesta, perché hanno l’intenzione di fare muro contro il cambiamento. Si arroccano pure loro con gli studenti, nel mantenere lo status quo», commenta Bonomi. La riforma della discordia, quella del ministro azzurro. Che lettura ne danno gli studenti? «I tecnicismi propri del burocratese non favoriscono certo la comprensione dei nuovi dispositivi», argomenta Giulio Ferroni, «ma ad ogni modo il ministro dovrebbe comprendere come i giovani non possono e non vogliono focalizzare gli aspetti positivi del nuovo assetto universitario, se prima non vengono restituiti i fondi sottratti agli atenei. Di per sè è difficile fare le nozze con i fichi secchi. Figurarsi adesso che sono stati portati via pure i fichi».
«È un governo che non ha mostrato particolare sensibilità per la cultura e il mondo giovanile – osserva Tommaso Gastaldi – e adesso la rabbia di molti esplode. «La rabbia è diffusa, è vero, ma non sono molti quelli che battagliano. La maggior parte degli studenti si informa, teme, simpatizza, condivide, ma i tempi gli suggeriscono di anteporre l’interesse individuale a quello di tutti. Sono anni duri, di futuro incerto e presente senza orizzonti. E i più non scendono in piazza, perché provano ad arrangiarsi da soli». «I modi della protesta sono sbagliati – conclude Sabbatucci – ma la verità è che i giovani non si agitano senza ragione. Ne hanno motivo».

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