mercoledì 17 novembre 2010

«La vita è più facile se si teme un giorno alla volta». Auguri a Charlie Brown, splendido sessantenne che mette allo specchio noi “piccola gente"

In barba alla robotica solerzia dei manager di se stessi, alla fine di una giornata uggiosa inzuppata nell’indigesto biscotto del profitto, al riparo dei lussuosi riflettori della success story di turno, c’è una coperta calda pronta ad accoglierti. È in questo tepore bambinesco che Charles Schulz ha nascosto il segreto di un impareggiabile conforto. Un manto tessuto a falci lunari d’umorismo frammisti ad arabeschi quotidiani, sospesi tra l’eterno dilemma della noia e il tampone provvisorio dell’ironia.
La buonanima di Saint Paul la disegnò per il suo Linus un giorno di sessant’anni fa, ma nelle sue spire morbide ci siamo avvoltolati noi tutti, noi peanuts senza parte in commedia e pochi posti a sedere al gran varietà del Trionfo. Tanti, sembra, quelli che si sono riconosciuti nei Li’l folks. Schulz avrebbe voluto chiamarli così, Charlie Brown e soci. La “piccola gente”. Invece furono “peanuts”, noccioline, ma anche “personcine”. Il fumettista non lo prese bene, quello sghiribizzo della United Feature. «È il peggior nome mai escogitato per un fumetto», si piccò. Ma il pubblico non gliene volle mai, nemmeno un po’. Pubblicate in 2600 giornali, per un bacino di lettori di 355 milioni di lettori, in 75 paesi nel mondo e in 21 lingue diverse, le strisce di Snoopy sono state le più lette della storia del fumetto. Il debutto avvenne il 2 ottobre 1950 su sette quotidiani statunitensi: dal Washington Post al Chicago Tribune. Sei giorni a settimana, esclusa la domenica. E proprio alle tavole festive di mister Sparkly, partite nel ’52, è dedicato il volume celebrativo che Baldini Castoldi tributa ai sessant’anni di Snoopy & friends: Il grande libro dei Peanuts - Le domenicali degli anni ’70 (272 pagg. 33 euro). Scelta particolarmente felice. Perché è nei cassetti spigolosi dei Seventies, che è custodito il valore iconico dei Peanuts, ordinary people quanto vuoi, ma capace di pensare con la propria testa. E di essere ora irriverenti, ora smaliziati, di fronte agli spettri di quegli anni. C’è Snoopy, ad esempio, Grande Bracchetto in capo che tiene un orgoglioso discorso all’Allevamento della Quercia, e viene tempestato da un lancio di scodelle. Conquista però la bracchetta dei suoi sogni e può tornarsene a casa. Dimissionato, ma felice. Utile parallelo per quest’Italia tanto cedevole alla cuccia calda dell’amore su procura. In quella di Snoopy ci sono anche le zampate di Secondo Conflitto Mondiale. È il gatto dei vicini, Snoopy lo odia, e l’analogia non può essere più graffiante. Il quadrupede è l’animalesco antenato di Allen, uno zelig camaleontico che ancora cammina gattoni nel mondo ma già lo guarda in cagnesco. Vedi le le atroci megalomanie da campione dello sport. Snoopy si dedica al tennis, all’hockey, al football, all’agonismo dipinto in colori epici da sponsor colossali e urlanti banditori, e il pensiero corre subito ai veleni della fabbrica del mito. Già nel 1963, il cast dei “peanuts” si era arricchito di un personaggio emblematico come il bimbo di nome 5, e le sue sorelle 3 e 4. Loro padre aveva cambiato il cognome della famiglia con il codice postale, un rifiuto identitario da manuale. Picchi critici ben assortiti, dalla guerra del Vietnam ai regolamenti sull’abbigliamento scolastico alla “nuova matematica”, per non parlare dei disastri pedagogici che impongono ai pargoli il rito ossessivo compulsivo dei lavori di gruppo. «Sa cosa diceva Oscar Wilde, signora?», dice Piperita Patty alla maestra, «Nulla d’importante può venir insegnato. Niente di personale, signora. Continui pure». Non manca la deformazione parodica della politica, naturalmente. Ed ecco Charlie Brown andare in campeggio. Tiene un sacchetto di carta in testa, ma tutti lo eleggono inopinatamente presidente del campo. Ha un disturbo alla vista che deforma ogni cosa, ma il plebiscito gli fa credere di essere guarito. Salvo che, un mattino, scorge in cielo al posto del sole, un faccione che lo scruta con aria canzonatoria. Pigri e contestatari, sognatori e nichilisti, teneri e spietati. In bilico tra l’aurea mediocritas e la giusta distanza, i peanuts ci scrutano ancora. «Ho imparato che quello che chiedi e quello che ottieni sono due cose diverse», dice Piperita. La “piccola gente” vive di inquietudini perenni. Finiscono a letto, in una coperta che forse è troppo corta, ma scalda a dovere. In fondo è questo il segreto di Schulz: «La vita è più facile se si teme soltanto un giorno alla volta». (f.l.d)

Nessun commento:

Posta un commento