venerdì 12 novembre 2010

Il vecchio Cesare di Montreal è morto. Titoli di coda sull'ultimo padrino della mala canadese

Ultimo giro di bevute, il bar sta chiudendo. Il sole se ne va. Colazione non troppo lontano. Lui rantola, le accerezza la testa: «Che nottata... Sono stanco, amore». Poi muore. Titoli di coda e tutti a casa col magone. Immaginare la morte di un boss, significa usurpare schegge di eventi mai avvenuti, che pure la nostra memoria sa mettere in fila con l’inequivoca esattezza di un sudoku. Ma ora che Nick Rizzuto, patriarca della mafia di Montreal, è morto, l’unica certezza è che servono vite inventate come quelle di Carlito Brigante perché l’enigma possa darsi avvincente.
 La fredda cronaca, il misero appiglio cui si aggrappa come un ragno la favola nera, è tutta nel verbale dell’agente Daniel Lacoursière: «Nick Rizzuto è deceduto in seguito a un colpo di fuoco mentre si trovava nella sua abitazione». Abitava in rue Antoine-Berthelet, nel lussuoso quartiere di Carterville cinto di ville tronfie in odore di malavita. Probabilmente si trovava in cucina, il vecchio padrino. In piedi, affaccendate a sparecchiare, due donne. Forse Nicola stringe nel palmo uno dei suoi amati mandarini, e poi prende a spicchiarlo con le mani callose. La buccia che scivola e diventa umida, la lama di un coltello che scorre solenne sui rimasugli. Poi un botto, il vetro in frantumi. Nick sobbalza, il mandarino che scivola via dalla mano. È a questo punto, che ritorna la cronaca. Le due donne gridano, chiamano il 911, arriva l’ambulanza, la corsa disperata. Niente da fare, il cuore di Rizzuto smette di battere lungo il percorso. A tenergli la mano, prima di essere ricoverata anche a lei, c’è Libertina Manno, 83 anni, sua moglie. Aveva 86 anni, Nick Rizzuto, eppure non sono bastati per morire di vecchiaia. Un colpo in testa nella pelata canuta. La vendetta non ha età, non discrimina nessuno. Tanto meno se non hai neppure diritto alla social card. L’uccisione del padrino canadese è forse l’ultimo atto di una tirannide criminale durata trent’anni. Ma l’impero era già in crisi: nel 2004 Vito Rizzuto, figlio di Nicola, era stato arrestato in Canada ed estradato negli Stati Uniti. Oggi sconta la pena in Colorado per estorsione e omicidio. Nel dicembre scorso era stato il turno di suo figlio, Nick Rizzuto jr. e nipote del patriarca. Ucciso dalla canna di una pistola nel pieno centro di Montreal. Eredi azzerati. Eliminati prim’ancora di attuare la vendetta delle vendette. La testa del vecchio boss. Chissà se il vecchio gaglioffo aveva fiutato la caccia grossa. Se mangiava tranquillo. Se quando stringeva in pugno un mandarino, sognava un ritorno impossibile dove tutto era cominciato. A Cattolica Eraclea, provincia di Agrigento. Dove lui, un tempo, si chiamava Don Cola. E viveva in un mondo completamente diverso. Ci era nato nel 1924, e presto aveva preso a lavorare <+txt_corsivo>a jurnata<+txt_tondo>. Bracciante a gettone, intollerabile. Lui voleva “comandare le terre”. Era entrato in una squadra di banditi al soldo del barone Agnello, acri e acri dell’agrigentino tutti nelle sue mani, che presto aveva cominciato a proteggere calpestando i contadini. Non è un socialista, Rizzuto, a lui frega soltanto di comandare. E la figlia di Nino Manno, Libertina, che sposa il 18 marzo 1945. Quella che gli tiene la mano ieri notte, mentre muore. Il giovane campiere Nicolò, tiene lontani i contadini dalla terra che i vogliono in affitto grazie ai decreti Gullo. Ma tra la legge e il diritto, c’è lui. Il bandito in ascesa. Se non che ci sono troppi morti, e poi don Cola è troppo ambizioso per accontentarsi di un villino in mezzo agli ulivi. Nel 1954 fa armi e bagagli ed emigra in Canada. Si mette agli ordini del boss calabrese Vic Cotroni, detto “the egg”. Prima obbediente, Niccolò si ribella. L’erede designato da “the Egg” non gli piace. Vuole essere lui il grande capo. E ci riesce. Soldi e affari fino agli anni 70. Poi la fuga in Venezuela, dove Nick apre un ristorante. Lo chiama “Il padrino”. Ma a Rizzuto fare il cuoco non interessa e nel 1978 si riprende Montreal, per poi consegnarla al figlio Vito. Il giovane allarga l’orizzonte criminale: contatto con il narcotraffico colombiano, gli Hell’s Angels, la West est gang irlandese. La polvere bianca piove sui tetti di Montreal, affari e sangue schizzano alle stelle con la stessa traiettoria vertiginosa. L’evoluzione della famiglia è evidente in Vito: parla cinque lingue, gioca a golf e guida una Ferrari. Ma alla fine va in galera anche lui. Su un furgone della polizia.
Figlio in galera, nipote morto ammazzato. Chissà se deve averci pensato, prima che un proiettile rendesse poco agevole l’amarcord, Don Cola. Chissà se Don Cola il patriarca, ha provato dolore. O se il colpo di pistola alla nuca, ha reso tutto più rapido o liberatorio, più indifferente o più giusto. Di nuovo il sudoku, il cinema, vita che sfugge ma dobbiamo raccontarci per sognare d’inseguirla in ogni anfratto. La favola nera è servita. Eppure, sappiamo soltanto che ieri Nicola Rizzuto è morto.

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