lunedì 25 ottobre 2010

Più che un'emergenza risolta una monnezza di miracolo: ecco la vera storia dei rifiuti in Campania

Dopo sedici anni tribolati, chiamarla emergenza sarebbe uno sgarbo alla grammatica. È dal 1994 che a Napoli è emerso il problema rifiuti, ma passati le estati, gli inverni, i processi e gli slogan roboanti, da Terzigno si sversa sull’opinione pubblica un’unica certezza. Non c’è inizio e non c’è fine in questa storia di politica e malaffare. C’è solo l’eterno ritorno della mondezza che galleggia per le vie della Campania lungo il putrido fiume della camorra e della corruzione. Tutto comincia l’11 febbraio del 1994, appunto, quando l’allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, decreta l’emergenza ambientale in Campania. La Regione è in ritardo nell’adozione di un nuovo piano per i rifiuti capace di superare quello obsoleto fondato su raccolta e sversamento, le discariche sono sature e da alcune settimane, la situazione è precipitata nel caos. Il Governo assegna al prefetto Umberto Improta i poteri commissariali straordinari sottraendoli angli enti locali. Affrontare l’emergenza rifiuti, significa avvalersi di fondi non regionali, di scelte rapide e competenze tecniche straordinarie. Molte discariche private vengono requisite e affidate alla gestione dell’Enea, e nel giro di due anni viene potenziata la capacità di raccolta. C’è la necessità di ampliare gli organici in forza allo smaltimento dei rifiuti, e la giunta regionale presieduta dall’aennino Antonio Rastrelli vara nel 1995 il primo bando di formazione per operatori ecologici che porta all’assunzione di 2500 persone (le prime di quelle che oggi, alla voce ciclo dei rifiuti, contempla 12mila addetti). L’emergenza si rivela da subito una grande occasione per la politica: un gigantesco ufficio di collocamento, a spese dello Stato, per estendere i consensi a costo zero. «La cosa che mi scandalizzò – racconta un ex dirigente provinciale a Nazione Indiana – fu che Regione, Provincia e Comune aggirarono il collocamento e scelsero i corsisti tra liste di disoccupati create anche all’ultimo minuto, con evidente presenza della camorra che comprava gli elenchi dei nomi da gruppi già esistenti. Fu una spartizione tra destra e sinistra, divisa in quartieri e aree, secondo le esigenze di ciascun partito che ne guadagnò bacini di voti, cedendo, attraverso i fondi per l’emergenza rifiuti, denaro alle cooperative che poi, in seguito, venivano incaricate di svolgere servizi di nettezza urbana». Bacini di rifiuti e bacini di voti. È in questi anni che nasce l’equazione letale che azzera lo Stato. Che anzi libera tutto il suo potenziale nel marzo 1996. Il governo Dini lascia nelle mani del prefetto la gestione del servizio di raccolta, mentre al governatore della regione Campania viene assegnato il compito di strutturare un Piano Regionale, e le deleghe per tutti gli interventi urgenti atti a rimettere in moto lo smaltimento. Tre mesi dopo, il Presidente in carica, Antonio Rastrelli, presenta il Piano Regionale per i i rifiuti solidi urbani. Prevede la costruzione di due termovalorizzatori e di sette impianti per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti, il cosiddetto cdr ricavato dalle ecoballe. Siamo al 1998, un anno che è un importante spartiacque. In qualità di commissario straordinario, Antonio Rastrelli indice una gara d'appalto che affiderà a un soggetto privato l'intera gestione del ciclo dei rifiuti, così come previsto dal Piano Regionale. La gara si conclude nel 2000 sotto la presidenza del nuovo governatore (e nuovo commissario) Antonio Bassolino. Si aggiudica il bando un'Associazione Temporanea di Imprese chiamata Fibe, che raduna alcunimostri sacri della finanza italiana. A capitanarle c’è la Fisia Italimpianti controllata dal gruppo Impregilo, di cui è presidente Cesare Romiti. Sulla carta, la Fibe garantisce velocità e risparmio, ma il progetto tecnico è di qualità modesta. Forse è stato elaborato prima del decreto Ronchi che puntava su differenziata e termocombustione, ed è di tecnologia vecchia. L’intero ciclo dei rifiuti viene assegnato a imprese private, il controllo dello Stato svanisce e le valutazioni di impatto ambientale diventano lasche in forza dei criteri emergenziali. L’appalto è previsto inizialmente solo per la provincia di Napoli, ma Bassolino lo estende a tutta la regione, consegnando al gruppo Impregilo un business gigantesco che mette in campo anche le mire delle banche. Finita in mani private, spesso controllate dalla malavita, l’individuazione delle discariche produce enormi speculazioni sui terreni da adibire allo stoccaggio, che in alcuni casi sono proprietà della camorra, e vengono pagati a prezzi stratosferici. Risultato, una mappa dei siti di stoccaggio paradossale punteggiata da luoghi in cui sarebbero necessarie bonifiche e dove impera un tasso di morbilità allarmante (tra Nola, Acerra e Marigliano, il fisiologo Alfredo Mazza computa nel 2004 un’incidenza tumorale superiore al 35,9 per cento della media nazionale per gli uomini, e al 20 per le donne). Come se non bastasse, Fibe non rispetta la chiusura dei lavori fissata per il 31 dicembre 2000. Il termovalorizzatore localizzato ad Acerra tra le rivolte degli abitanti non è ancora pronto, mentre i sette impianti che dovrebbero produrre cdr, producono qualcos’altro che non ci assomiglia per niente. Ne deriva che le ecoballe sfornate dagli impianti della Fibe si ammonticchiano a milioni in ogni angolo della Regione. Sono più di 5 milioni, pesano sei milioni di tonnellate, e non possono essere bruciate per due motivi: sono troppo umide. E se anche non lo fossero, manca il termovalorizzatore. Il nuovo prefetto di Napoli, Carlo Ferrigno, denuncia la saturazione delle discariche esistenti. Alcune sono stracolme, con gravi conseguenze igienico-sanitarie per gli abitanti, ma le amministrazioni locali sono restie ad accogliere gli impianti destinati alla produzione di cdr. In parallelo, anche la politica riscuote i suoi crediti, grazie ad assunzioni messe in atto con quelle che Corrado Catenacci definisce «procedure romanzesche». Il grimaldello di tutto si chiama società mista pubblico-privato. Uno speciale regime che annoda la clientela agli affari, gli affari ai servizi pubblici, i servizi pubblici agli amici, gli amici ai voti e poi di nuovo da capo, a un ciclo che riparte con le campagne elettorali. Un ciclo che a noi cittadini, costa miliardi. Le spese della dirigenza del commissariato ai rifiuti salgono dai16.638 euro del 1998 a 1.140.000 del 2003. E poi i costi delle consulenze, un pozzo senza fondo. Riccardo Di Palma, ad esempio, riceve 400mila euro per una consulenza sul riassestamento idrico. Ma ci sono da pagare anche 2.361 gli assunti per una raccolta differenziata inesistente, 50 automezzi rubati subito dopo la consegna. Logica conseguenza di tutto, all’inizio del 2001 c’èuna nuova crisi. Vengono riaperte le discariche di Serre e Castelvolturno, ed ogni giorno mille tonnellate di rifiuti  espatriano in Toscana, Umbria, Emilia-Romagna, e Germania. Tra il finire del 2001 e l’inizio del 2002 entrano a regime gli impianti per la produzione di cdr situati a Caivano, Avellino, Santa Maria Capua Vetere, Giugliano, Casalduni e Tufino, ed infine di Battipaglia nel 2003. Ciò nonostante la Campania, in mancanza di una percentuale di raccolta differenziata apprezzabile e dei termovalorizzatori, Purtroppo non basta, perché c’è un milione di tonnellate di monnezza che resta fuori dal circuito. Prima di lasciare, però Bassolino completa il capolavoro. Nonostante le inadempienze, il governatore uscente concede ulteriori agevolazioni alla Fibe: via i controlli sui tempi e sulla qualità del ciclo dei rifiuti trattati dalla società. Via penali e risarcimenti correlate agli obblighi contrattuali. E poi altri soldi. Un fiume di soldi per saldare i debiti di Impregilo con le banche e adeguare gli impianti di costruzione. È come se la scena del crimine venisse ripulita prima dell’arrivo della polizia. La magistratura interviene nel 2005, il governo Berlusconi rescinde il contratto con Fibe, ma per l’impresa nessuna conseguenza. Anzi continua a percepire sovvenzioni per i servizi di smaltimento e di impiantistica. A seguito dell’inchiesta Cassiopea, nel 2007, la procura di Napoli rinvia a giudizio Antonio Bassolino, Piergiorgio e Paolo Romiti e altri 25 indagati con le accuse di truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato e frode in pubbliche forniture. Ma l’emergenza continua. Il Governo Prodi autorizza la costruzione di tre nuovi inceneritori e disegna la regionalizzazione dello smaltimento dei rifiuti. Gianni De Gennaro, nuovo commissario per l'emergenza rifiuti ha l’incarico di riportare l’ordine entro quattro mesi. I rifiuti riprendono a viaggiare verso la Germania, e si individuano nuove discariche a Pianura e nella cava di Chiamano. La protesta della popolazione esplode immediata, il governo Prodi cade e tutto finisce fuori controllo in un clima di guerriglia tra Stato e cittadini. Il 21 maggio 2008, seduto in groppa ai «disastri della sinistra», Silvio Berlusconi inaugura il nuovo governo a Napoli. L’uomo della provvidenza, unto dalle sue mani, è il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso. che riceve la delega per l’emergenza rifiuti. Il decreto legge prevede la costruzione di quattro nuovi inceneritori, e dieci nuovi siti in cui realizzare le nuove discarice. Vengono dichiarate di interesse strategico nazionale, sono sorvegliate dai militari, e chi ne ostacola la costruzione può finire persino in galera. Si annuncia che l’emergenza rifiuti sarà chiusa entro il 31 dicembre 2009, ma l’articolo 9 del decreto, contro le regole comunitarie, autorizza lo smaltimento di rifiuti pericolosi tra lo sdegno della popolazione. Il 18 luglio lo spettacolo avvilente della mondezza napoletana che ha fatto il giro di ttue le tv del mondo, sembra arrivato al sipario. Ma cinque milioni di ecoballe restano in giacenza. Apre la discarica di Chiamano, e a il 3 giugno apre lo stabilimento di Acerra. Berlusconi, presente all’inaugurazione, lo reputa «un gioiello». Peccato che invece del Cdr, i rifiuti producono "tal quale" ed emissioni di PM10, valutate dall’Arpac oltre i limiti di legge nel 30% dei giorni di attività. Il 15 giugno apre anche la discarica di Terzigno, che aveva assicurato lo stoccaggio fino a oggi. Manca un compiuto ciclo integrato dei rifiuti, ma il 17 dicembre 2009 il cdm dichiara la fine dell’emergenza.  E proprio Terzigno è il teatro degli scontri odierni, delle proteste, delle botte ai manifestanti, della cattiva politica, dei salassi. Fino ad oggi, l’emergenza rifiuti è costata un miliardo e trecento milioni di euro e debiti per cinquecento milioni.    «Riporteremo la situazione nella norma entro 30 mesi», aveva promesso il premier Berlusconi al suo insediamento. È stato di parola. Perché dopo 30 mesi è tornato tutto come prima. Nessuna fine, nessun inizio, nessuna emergenza. Soltanto l’eterno ritorno della monnezza.

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