venerdì 15 ottobre 2010

A Monza intervento straordinario. Ecco come Carla ha ripreso la vita tra le sue nuove mani

La buona, splendida notizia è che all’ospedale San Gerardo di Monza, i medici italiani hanno eseguito un intervento che ha pochi pari al mondo: un duplice trapianto di mano. E che, per il triste riflesso condizionato ormai connaturato alla sanità italiana, il tutto è avvenuto senza che alcuna garza venisse abbandonata a fluttuare nelle interiora del paziente, che nessun rimborso milionario abbia riempito le tasche di qualche macellaio in camice bianco, e nessun componente tossico abbia gassato il malcapitato con qualche veleno. La vicenda di Carla Mari, donna di cinquantadue anni, casalinga, di Busto Arstizio, può dunque essere raccontata per una volta come una bella favola degna di Inarritu.
La trama si dipana in sei ore. Nella notte tra lunedì e martedì, in una sala operatoria. Ma come ogni favola che si rispetti, per almeno tre quarti ha la stessa sostanza dell’incubo. Quello di Carla Mari comincia tre anni fa, quando a causa di una terribile infezione generale scatenata da una cistite, le vengono amputati di colpo mani e piedi. A sostituirli parzialmente, delle protesi che la donna sopporta pazientemente per un anno. Poi non ce la fa più. Nel 2008 Carla chiede di essere messa in lista per un trapianto, e nell’attesa comincia la necessaria psicoterapia che la prepari all’intervento. Ad aprile, i medici danno il lasciapassare: la Mari è pronta. Lasciamola lì in attesa, adesso. E pensiamo a un’altra donna, di cui non conosceremo mai il nome, il volto, le abitudini, la vita. Non lontana da Monza, forse delle parti di Cremona, quasi arrivata ai sessanta non sappiamo se con gioia o con stento. Tutto ciò che sappiamo di lei, è che l’undici ottobre di quest’anno muore, e che ha delle mani. È a questo punto che c’è di mezzo una telefonata, della volontà, del nobile dolore a un capo del filo, e dell’immensa gioia dall’altra. L’ospedale di Cremona espianta le mani della donna senza nome. Le stesse che due ore dopo viaggiano verso la sala operatoria di Monza. Ad attenderle ci sono i polsi di Carla Mari. L’abbiamo ritrovata, in sala operatoria, e ora siamo di nuovo nel primo minuto di quelle sei ore che le cambiano la vita.  Di fronte a lei, prima che l’anestesia le annebbi tutto, c’è il volto di un medico chirurgo che ha iscritto nel nome una benemerenza fiabesca: si chiama Massimo Del Bene. Per sei ore, insieme alla sua équipe, lavora a un doppio trapianto dal coefficiente di difficoltà incredibile. Ma confessa di non aver esitato neppure un minuto. «Una decisione che abbiamo preso senza esitazione – dice Del Bene – Una persona senza mani né piedi non può alzarsi dal letto se non arriva qualcuno ad applicarle le protesi». Al risveglio Carla è nel suo letto, con i parenti intorno, e un paio di mani nuove. Non appena le ha viste si è commossa, ma non ha detto quasi niente perché lei «è di poche parole». Ieri ha cominciato a muovere le dita, piccoli movimenti che devono farle battere il cuore come un tamburo. Entro sette giorni verrà sciolta la prognosi, ma al San Gerardo sono ottimisti. «La paziente sta bene, la profusione delle mani è ottimale e non ci sono problemi di natura vascolare che sono sempre la nostra paura nel primo periodo. Poi ci sarà il problema funzionale e del recupero psicologico. È una donna fortissima che ha espresso da subito la volontà del trapianto», spiega Massimo Del Bene. Su Carla è stata usata una tecnica anti-rigetto basata sulle cellule staminali, che non si sa ancora perché, ma inibiscono gli anticorpi che attaccano i tessuti estranei.
A Monza la vita, Carla, la speranza. A Cremona, una donna senza nome e il buio del dolore. Iscritta all’Aido da vent’anni, Carla sa cosa vuol dire stare in equilibrio tra i paradossi della vita. Prima del difficile intervento, ha guardato i medici dritti negli occhi e ha detto: «Sono qui per ricevere, ma anche per dare».

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