giovedì 16 settembre 2010

Satrapia e pallottole. La farsa di Silvio e Mammud ritorna come tragedia nel golfo della Sirte.

Fosse stato un film comico, di  sicuro si sarebbe intitolato “Satrapia e pallottole". Un boss ridicolo pianta le tende a Roma, fa un paio di numeri nel Barnum di Berlusconi, e poi spara sui nostri pescatori dopo essersi imbertato i soldi di chi era stato pagato per ascoltarne le cretinerie assortite. Fosse stato un varietà, lo striscione di “Scherzi a parte" sarebbe apparso al largo di Lampedusa, mentre le comparse italiane travestite da cecchini libici avrebbero consegnato la patente di boccalone all'attapirato Marrone di turno. Siccome è solo la realtà, invece, non ci resta che dire soltanto una cosa: da Roma al golfo della Sirte, la farsa è riaffiorata sotto forma di tragedia. Non serve lo Stagirita, per spiegare che tipo di legame alligna tra il buffone Gheddafi e il barzellettiere Silvio: l'amicizia è un'anima che abita in due corpi. Purtroppo non si tratta soltanto di un tenero flirt sbocciato un giorno nella stessa pista da circo. C'è un problema grosso. Ridicolo quanto vuoi, ma grosso. Perché l’inesauribile verve pagliaccesca che alimenta l’operetta berlusconiana, pulsa ancora una volta in tutta la sua drammatica urgenza all’indomani della bassa opera di cecchineria andata in scena al largo di Lampedusa. Da una parte c’è la realtà, plasticamente espressa da trenta termiti di piombo calibro 44 esplosi dalle mitragliatrici amiche contro gli uomini del peschereccio Ariete. Dall’altra c’è la bella copia della tentata mattanza, da consegnare adulterata al telespettatore confuso ma felice. Un discrimine abbastanza evidente nelle divergenti reazioni di ieri. La Procura di Agrigento indaga per tentato omicidio plurimo aggravato e danneggiamento di natante. Due ministri del governo derubricano invece la raffica di fuoco ad altezza uomo a insulso incidente. Dapprima è toccato al titolare del Viminale annacquare le polveri, affidando il proprio commento su un delicatissimo caso internazionale nientemeno che all’autorevole tribuna di Mattino 5, programma televisivo che annovera già tra i suoi scoop i calzini viola dello “stravagante” giudice Mesiano. «Immagino che abbiano scambiato il peschereccio per una nave che trasportava clandestini, ma con l'inchiesta verificheremo ciò che è accaduto», ha spiegato in diretta Roberto Maroni. Le ambasce del Viminale sono tutte rivolte al tragico scambio di persona: tutte quelle pallottole non dovevano finire in faccia a dei comuni italiani che erano pacificamente a pesca, insomma. Una versione, che lascia sbigottito il comandante dell’Ariete Gaspare Marrone: «Era impossibile scambiarci per qualcos'altro - incalza il comandante dell'Ariete - la nostra è una barca di 36 metri attrezzata con macchinari da pesca modernissimi, impossibile fare confusione. Loro invece hanno sparato ad altezza uomo. Se avessero voluto intimidirci, sparavano in aria, in acqua. Invece la mia barca ha 50 fori da una paratia all'altra. Ma che comportamento è questo? E Maroni lo chiama un incidente? Dica quello che vuole, ma le cose non sono così, quelli sparavano per ammazzarci, ad altezza uomo. E sapevano che eravamo pescatori». Ulteriore conferma della terribile equazione maroniana: la motovedetta libica ha sparato perché così usa in quel di Tripoli contro chi azzarda la fuga dai lager di Mammud. A tragedia scampata, il vero punto della questione è infatti quale sia davvero la destinazione d’uso degli 8 miliardi concessi dal governo al dittatore teologo, innanzitutto. E secondo poi, se c’è e quanto sia elevato il grado di complicità stabilito da Roma nella carneficina dei diritti umani in atto nei mari libici. È proprio questa insostenibile leggerezza dei mitra, che non fa neanche il più pallido capolino nelle dichiarazioni dei nostri governanti. E che invece, suscita l’indignata reazione della Cei. «Assistiamo a una vera e propria inerzia del governo italiano – ha tuonato Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del Consiglio Cei per gli Affari giuridici – Preoccupa molto che non ci sia nessuna iniziativa politica sulla questione della competenza circa le acque del Mediterraneo. E la facilità con cui si mette mano alle armi e si attenta alla vita delle persone». Fortuna che a denunciare l’insoffribile scalpo dei diritti umanitari nella acque libiche, c’è un tonitruante Franco Fattini: «Il comandante libico ha ordinato di sparare in aria – ha scandito il titolare della Farnesina – anche se poi purtroppo i colpi sono arrivati sulla barca italiana». Come dire che la colpa non è di chi ha sparato, ma delle pallottole che hanno proditoriamente deviato dal cielo. «Dopo la prima raffica – ha spiegato il comandante dell’Ariete – ho cambiato rotta anche per evitare la collisione con la motovedetta libica che nel frattempo si avvicinava al mio motopesca. I libici sparavano altre raffiche ad intervalli di circa un'ora ed io continuavo a cambiare più volte la rotta del mio motopesca per evitare la collisione. L'ultima delle quattro raffiche contro di noi è stata esplosa intorno alle 21».In qualunque angolo del cielo si spostasse il peschereccio, secondo la disamina balistica di Frattini, le pallottole si paracadutavano dal cielo, si fermavano a mezz’aria, e poi si gettavano a capofitto sui fianchi della barca. Più che pallottole, missili intelligenti. E se è nella prassi che l’ambasciatore libico, Abdulhafed Gaddur assicuri che «il rapporto particolare tra Tripoli e Roma continuerà e non sarà condizionato da questo incidente, lascia di stucco Frattini, che nonostante la gravità dell’accaduto e le implicazioni contenute nel tragico scambio di persona, precisa che il mitragliamento del peschereccio è un «incidente grave» che però «non cambia» i rapporti tra Italia e Libia. «Era evidente chi fossimo: dei pescatori italiani. Glielo avevo detto prima dell'attacco – racconta Marrone – Erano dunque informati». E visto che l’accordo tra il premier e Gheddafi prevede un’opera di “controllo, ricerca e salvataggio” che consente di aprire il fuoco contro un peschereccio italiano, che cosa accade invece quando le motovedette italo-libiche incrociano un barcone, un gommone, o una zattera della Medusa qualsiasi affollata di disperati? Che tipo di natura hanno le certezze che fanno affermare a Maroni di «aver bloccato gli sbarchi»? Ma nel retropalco, al riparo dalle telecamere di Minzolini, la vicenda ha destato più imbarazzo di quanto non ne abbiano prodotto le giustificazioni ministeriali. Anche un bimbo si accorgerebbe che c’è la necessità di modificare le regole di ingaggio che presiedono al nostro «trattato d'amicizia», che ad oggi consentono agli ufficiali italiani un semplice ruolo di «osservazione e supporto» nel contrasto all’immigrazione. Ma sulla stordente inerzia del nostro Governo, non pesano soltanto le milionarie commesse libiche, ma anche il silenzio interessato della Lega. «Prova ancora. Vedrai che la prossima volta riuscirai a dimostrare di essere un vero leghista», recita il giochino inventato dal Trota. Su Renzuccio, è stato solo un incidente. Quattro pescatori tritamarùn, sono proprio una jella. Ma il bello di rimbalzare il clandestino, è che puoi ritentare fino a esaurimento scorte.

Nessun commento:

Posta un commento