lunedì 27 settembre 2010

Marcegaglia contro Brunetta, Tremonti, Silvio e il partito del Pil: Panzane in Libertà

Viareggio. «C’è stata la paura. E non è detto che sia già arrivato il momento della speranza», aveva concionato Tremonti dalla tribuna di Oggi. Mai aforisma fu più veridico. Che non sia momento di speranze non è semplicemente detto. È proprio scritto, a disposizione delle competenze matematiche di tutti, nei numeri dell’Istat. Non pervenuti a diversi esponenti del governo – o recepiti al massimo come vile dossieraggio di credibilità caraibica– non devono essere sfuggiti a Emma Marcegaglia. Dallo scranno dei tg nazionali, Tremonti ha assicurato fino a due giorni fa che «l’Italia non è in crisi». Ma la leader di Confindustria dev’essere poco avvezza ad andare a letto placidamente dopo il carosello minzoliniano. Perché dall’assise degli industriali toscani riunita a Viareggio, il presidente di viale dell’Astronomia ha dato l’ennesima scossa a un esecutivo sempre più imbarazzante: «Vogliamo che politica si concentri su crescita e occupazione», mette a registro Marcegaglia, che invita la classe dirigente, sempre più rotolante nel fango dei tristi tropici, ad accantonare la ridicola gazzarra sulle barbe finte «che leggiamo in questi giorni sui giornali».

Il ministro dell’Economia, con raro gusto per la litote, battezza questa Penisola bagnata dalla catastrofe come «terra incognita». Ma ai cittadini italiani pare ogni giorno di più di conoscerla a menadito. Balzo della disoccupazione all’8,5 per cento, due milioni abbondanti di italiani senza lavoro, trenta per cento di giovani (al Sud il quaranta) senza occupazione. E soprattutto, a valle e a monte di tutte le impietose statistiche, una cifra sesquipedale che corrisponde a zero. Uno zero assoluto alla voce ammortizzatori sociali e provvedimenti anticrisi nel rendiconto di questo governo. «I problemi dell’occupazione non attendono i passaggi di parlamentari da una parte all’altra», incalza Emma Marcegaglia, ma richiedono «risposte serie e immediate», altrimenti non «riusciremo a riassorbire la disoccupazione, a tenere in piedi il tessuto produttivo, ad aumentare il benessere di tutti». Serve un due per cento di crescita l’anno, spiega la presidente di Confindustria, che rampogna la maggioranza trionfante, colta a dipingere l’Italia come leader nell’export di virtù finanziaria. «Quando si dice che siamo andati meglio di altri Paesi non è vero», attacca Marcegaglia, «c’è la sensazione che stiamo uscendo dalla crisi con una capacità di crescita inferiore alla media europea». Né è meno fosca la proiezione nell’immediato futuro: «Probabilmente non rientreremo a livello nazionale ma anche internazionale in una seconda recessione», chiosa la leader degli industriali, «ma questa rimarrà una cifra chiara e lo sarà, dal nostro punto di vista, anche per i prossimi anni; siamo comunque in un quadro di incertezza. La visibilità che abbiamo davanti è limitata, e siamo in una fase in cui ci sono molto differenziazioni sulle diverse capacità di crescita nelle diverse aree, e appunto dati contrastanti. Il tema dell’incertezza rimarrà una costante con la quale avremo a che fare». E consapevole della differenza tra favola e analisi, Marcegaglia non ha dimenticato di suffragare il tutto con i più recenti dati sul Pil: «Le nostre previsioni parlano di una crescita dell’1,2% nel 2010 – ha spiegato – e dell’1,3 nel 2011 dopo aver perso tra il 2008 e il 2009 il 6». «Il dato che ci preoccupa – annota Marcegaglia – è che siamo entrati nella crisi quando eravamo già in crisi. La percezione che oggi abbiamo di uscire dalla crisi è inferiore alla media di crescita europea. Il mondo sta ricominciando a correre mentre l’Italia cresce troppo poco». Non solo, dunque non siamo usciti dalla crisi. Ma quando ci siamo entrati ufficialmente, a onta dello spietato negazionismo del premier, ci eravamo già dentro mani e piedi. Per conto nostro.

Il primo passo per affrontare i propri problemi – che in questo caso sono quelli di 60 milioni di italiani – è quasi sempre ammetterli, consiglia di solito Riza psicosomatica. E difatti, poco tempo dopo l’intervento della Marcegaglia a Viareggio, è toccato a un contrito Brunetta immolarsi nei dolorosi meandri psicoanalitici dell’assunzione di responsabilità: «Premesso che non ho sentito il discorso del presidente di Confindustria, posso ribadire i dati ufficiali e strutturali che sottolineano come l’Italia abbia attraversato la crisi meglio degli altri Paesi». Peccato che il ministro della Funzione pubblica abbia considerato superflua l’analisi di viale dell’Astronomia. Avrebbe scoperto utili spunti al suo incarico: per esempio che il Pil italiano è il peggiore d’Europa, inferiore anche a quello della Spagna. Brunetta spiega che chiedere all’Italia di crescere come la Germania è troppo, e ha ragione. Agli italiani basterebbe crescere quel tanto che basta per pensare di mettere al mondo dei figli, di mantenerli, e di mantenere anche se possibile – nell’eventualità di averlo mai trovato – il posto di lavoro. Ma tra la crisi e le soluzioni, insomma, c’è di mezzo il Pil. Quello delle Panzane In Libertà. (f.l.d)

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