lunedì 3 maggio 2010

Altro che bamboccioni, ormai è ufficiale anche per l'Istat: l'Italia è il peggior Paese europeo in cui un giovane possa vivere

Da Liberal 1 maggio 2010

Roma. Sono ben al di sopra dei due milioni, gli italiani che cercano occupazione. Più esattamente, due milioni e 194mila unità. Un numero che secondo i dati Istat riferiti a marzo, registra un 2,7 per cento in più rispetto al mese precedente, e un preoccupante più 12 per cento di incremento sull’anno scorso. E che imprime conseguenti riflessi negativi anche sul tasso di disoccupazione attestato all’8,8 per cento, equivalente a uno 0,2 per cento in più rispetto a febbraio, e all’uno per cento rispetto a marzo 2009. 

Ma le notizie peggiori provengono dal tasso di inattività, e cioè dalla percentuale di persone residenti (sul totale) che non lavorano per scelta (casalinghe o gli studenti), o perché troppo anziani e quindi ritirati dal lavoro: un 37,8 per cento che stabilisce il record negativo dal 2002 a oggi. Analizzati nello specifico, i dati Istat fotografano in modo impietoso i morsi che la crisi ha impresso sulla viva carne delle classi meno protette. A partire dalla disoccupazione giovanile, che seppur in lievissimo calo rispetto al mese precedente (0,4 per cento), indica nell’attuale 27,7 per cento un aumento di quasi tre punti percentuali rispetto a marzo del 2009. Non meno sconsolanti, i dati sulla disoccupazione femminile. A oggi sono senza lavoro un milione e 44mila donne italiane, che significa un aumento del 4,8 per cento su base mensile. E per accorgersi di quanto sia stata forzatamente discriminatoria la valanga della crisi, basta comparare il dato con quello che coinvolge l’incremento della disoccupazione maschile, che invece registra uno 0,9 per cento. In termini assoluti, l’Istat valuta i maschi italiani senza occupazione nel numero di un milione e 150mila unità, diecimila in più rispetto al mese precedente. Un dato che vuol dire un fatto molto semplice: nell’ultimo anno hanno perso il lavoro 111mila uomini. Rovesciata la prospettiva sul numero di occupati, la sostanza non cambia. Sono 22 milioni e 753mila gli italiani che lavorano, uno 0,2 per cento in meno rispetto a febbraio e un decremento occupazionale dell’1,6 per cento rispetto all’anno scorso. In brusca sintesi, negli ultimi mesi hanno perso il lavoro 367mila persone. Ma per ritornare al tasso di inattività, ( fermo al 37,8 per cento, meno 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente ma più 0,5 punti percentuali rispetto a marzo 2009), le statistiche Istat dicono in parole povere che un italiano su due è inattivo nella fascia compresa tra i 15 e i 65 anni. 

Un aspetto che assume tratti inquietanti  in Sicilia, dove sono inattive tre persone su cinque. In termini assoluti, il numero di inattivi di età compresa tra 15 e 64 anni, è pari in Italia a 14 milioni 907mila unità, cifra che rappresenta una riduzione di 24mila unità rispetto a febbraio, ma comunque un aumento dell’1,6 per cento rispetto a marzo 2009. Tradotto, si tratta di 239mila italiani inattivi in più in un anno. Secondo il Governo, l’aumento del tasso di disoccupazione non giunge inatteso. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, fa sapere che «il tasso di disoccupazione è leggermente incrementato, ce lo aspettavamo», e tiene a precisare che «molti gufi segnalavano ancor peggio. Come sappiamo l’andamento della disoccupazione è successivo all’andamento dell’economia». Se comparato al tasso di disoccupazione dell’Eurozona, che attestandosi al 10 per cento è il più alto degli ultimi dieci anni, quello italiano dell’8,8 per cento è un po’ meno peggiore  «ma è una magra consolazione perché poi chi cerca lavoro non lo trova», nota Sacconi. Ed è ancora più magra, se si prende a riferimento l’Unione europea a ventisette Paesi, dove la media di disoccupati fa registrare il 9,6 per cento. Il ministro del Lavoro sostiene inoltre che per fronteggiare la drammatica imponenza di questi numeri occorre «la combinazione degli ammortizzatori sociali con la formazione, una sfida obbligata» che è «una risposta tradizionale ma tradizionalmente fallita». 

Ma ciò che rende particolarmente avvilente la condizione italiana, rispetto a quella dei Paesi europei, è un dato che il ministro del Lavoro dimentica di commentare. Tra i giovani italiani compresi tra i quindici e i ventiquattro anni, la disoccupazione sale al 27 per cento: un aumento di tre punti percentuali rispetto all’anno scorso, che spiega come definire i ragazzi della Penisola «bamboccioni», sia obiettivo quanto osservare Brunetta e dedurne che sarebbe titolare inamovibile in qualunque nazionale di basket. Un abbaglio, che può essere facilmente compreso se si paragona la nostra disoccupazione giovanile a quella dell’Europa a ventisette. In Italia, come detto, siamo al 27 per cento. Nel resto del Vecchio continente al 20,6. Quasi sette punti percentuali in più, a fronte di un tasso di disoccupazione generale leggermente inferiore a quello dell’Ue. A qualcuno viene in mente, se non di fare ammenda, se non di fare qualcosa, che al momento l’Italia è il peggior Paese europeo nel quale un giovane (non) possa vivere? (f.l.d)

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