giovedì 29 aprile 2010

Poco pane e tanta crisi: le famiglie italiane non residenti ad Arcore sono ridotte alla Caritas

Se l’ottimismo è il profumo della vita, la preziosa boccetta dev’essere stata fabbricata in edizione talmente limitata da essere pervenuta soltanto nelle ariose stanze di Palazzo Chigi. Perché nel resto d’Italia, e nei tinelli delle famiglie italiane, domina incontenibile il tanfo della crisi, e neppure la televisione accesa sembra per ora addolcirne la sgradevolezza. È tutto nero su bianco nell'indagine realizzata dall' Iref, istituto di ricerca delle Acli, presentata ieri nel corso del 34° Convegno nazionale delle Caritas Diocesane a San Benedetto del Tronto. Un lavoro condotto su un totale di 4500 famiglie italiane, che sono state intervistate a maggio del 2009, a settembre dello stesso anno, e infine lo scorso febbraio.

Il quadro che ne emerge, una specie di topografia ragionata dei bisogni dei nuclei familiari della Penisola, è poco confortante da qualunque lato si osservino i tre i focus della ricerca: i fabbisogni di cura delle famiglie e il “welfare fatto in casa”, il legame tra famiglia e welfare, l’effetto della crisi economica. E proprio da quest’ultimo punto bisogna partire per cogliere dalla viva voce di padri e madri italiani, gli effetti della recessione. I dati della ricerca Acli dicono che il 56,7 per cento delle famiglie considera il 2009 «un anno in affanno, più difficile del precedente», il 41,1 per cento lo ritiene un anno come gli altri, e soltanto il 2,2 per cento sostiene di aver migliorato la propria condizione economica in questo stesso periodo. Ma a chi considera l’atavica ignavia del Mezzogiorno come una variabile indipendente, la ricerca della Caritas riserva un dato interessante: la crisi ha colpito al Sud tanto quanto nell’operoso Nord Est, dove le regioni dei capannoni e dell’economia diffusa registrano un saldo simile a quello delle aree sottoindustralizzate del Meridione. Appena migliori, invece, le condizioni del triangolo industriale e delle regioni italiane che contano su un’alta presenza di impiego pubblico. La crisi morde al cuore le famiglie, si diceva. Un assunto ben dimostrato dai dati registrati tra settembre 2009 e febbraio 2010. Le famiglie interpellate dalla Caritas denunciano una coatta riduzione dei consumi, che investe innanzitutto le spese per la cura della persona, ma anche una drastico ridimensionamento nel consumo di acqua, luce, gas, viaggi, vacanze, tempo libero e divertimenti. "Francia o Spagna, purché se magna", direbbe l’antico adagio. E invece la crisi sembra avere infranto anche il mito delle mamme italiche che moltiplicano pani e pesci a scapito di magri stipendi. Perché pane, pasta e carne sembrano essere diventate sulle tavole italiane guest star sempre più sfuggenti e dal cachet non troppo accessibile: se il 19,8 per cento delle famiglie con una solidità economica alta ne lamenta consumi ridotti, ben sette famiglie su dieci dal reddito medio-basso, fanno sapere che non hanno abbastanza soldi in tasca per comprare quantitativi sufficienti di alimenti base. Un bell’esempio di dieta mediterranea, insomma. Ma il cibo non è l’unico tabù che la crisi ha mandato a gambe all’aria. La ricerca Acli spiega chiaramente che sotto il materasso di molti non ci sono più euro da nascondere. E che anzi è meglio stare attenti al materasso. L’impoverimento del ceto medio suburbano impedisce infatti a numerose famiglie di risparmiare, e le trasforma in nuove classi a rischio. «Al di là delle situazioni estreme è interessante notare come in termini comparativi, le famiglie che possono contare su dei risparmi, anche se titolari di mutui o affitti, tendono ad avere una condizione migliore di quelle che, pur essendo proprietarie di casa, non riescono a risparmiare: difatti, il risparmio alimentare interessa nel primo caso il 30,6 per cento delle famiglie, nel secondo il 47,8 per cento», scrivono i ricercatori. Una situazione che rende molto utile fare il punto sulle famiglie italiane giovani, sorte in una congiuntura enormemente sfavorevole. Come affrontano la crisi? «Approfondendo i diversi profili delle famiglie nelle quali entrambi i partner hanno meno di 40 anni – spiega il presidente delle Acli, Andrea Olivero – si nota che alcune hanno retto alla crisi meglio di altre». Ci si riferisce in questo caso a nuclei familiari a doppio reddito nei quali l’occupazione femminile ha svolto un ruolo di compensazione. Ma nonostante le difficoltà, pare che le giovani famiglie continuino ad avere rispetto a quelle consolidate, maggiori aspettative verso il futuro. Il 61,8 per cento di queste è infatti poco o per nulla d’accordo rispetto all’affermazione “oggi è inutile fare progetti perché il futuro è carico di rischi”, a fronte di un campione totale del 47,7 per cento che la condivide. «La crisi di fiducia non è quindi generalizzata: ci sono ancora famiglie che guardano più in là di oggi. Questi elementi ci suggeriscono, in modo chiaro, alcune piste di lavoro rispetto alle quali sollecitare anche un pronto intervento della politica», argomenta Olivero.

In un’ideale agenda politica in grado di fronteggiare la crisi, Acli e Caritas pongono in testa il tema dell’occupazione delle donne, e «il mantenimento e possibilmente l’incremento degli attuali livelli occupazionali». Dare cioè piena attuazione al reddito di garanzia, favorire misure in grado di conciliare i tempi di lavoro a quelli familiari, ridurre il costo dei mutui, e incentivare il part-time. Suggerimenti preziosi, che per le famiglie non hanno prezzo. Per tutto il resto, c’è social card. (f.l.d)

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