lunedì 19 aprile 2010

«Vi spiego perché Fini è destinato a scomparire». L'analisi dello storico Francesco Perfetti

Roma. «A differenza che negli scontri precedenti, stavolta la frattura tra Fini e Berlusconi è insanabile. Il presidente della Camera non può più tornare indietro, perché ne deriverebbe un brutto colpo per la sua immagine. E il presidente del Consiglio, d’altra parte, non potrebbe accettare di buon grado ulteriori correzioni di rotta, o altre prese di posizione in contrasto con la sua volontà politica. Certo, la rottura sarebbe assai più traumatica per le sorti di Fini, che per quelle del leader azzurro. Nel caso assai probabile che loro le strade si dividessero, si arriverebbe a una crisi all’interno della maggioranza. Ma è scarsamente plausibile che si potrebbe giungere a un rimpasto, perché in questo caso Berlusconi si rivolgerebbe di nuovo alle urne per rinsaldare la sua leadership, mentre Fini dovrebbe fare i conti con una base elettorale che in buona parte non si riconosce più nelle sue posizioni politiche. Per il presidente della Camera, insomma, c’è il forte rischio di riscoprirsi irrilevante al di fuori del Pdl. Di essere finito in un vicolo cieco». L’analisi di Francesco Perfetti, docente di storia contemporanea alla Luiss Guido Carli, non lascia spazio a troppe speranze. La forzata convivenza tra Silvio e Gianfranco, insomma, sembra giunta all’epilogo.

Professore, Fini può ancora tornare indietro o siamo in presenza di un ”divorzio tardivo”?
I margini per un recupero sostanziale del rapporto sono molto risicati. Le poche chance di ricucire lo strappo tra il premier e il presidente della Camera sarebbero più che altro legate a uno scenario compromissorio, una soluzione formale nell’interesse dei due contendenti. L’impressione è però che l’altro giorno si sia consumato un atto definitivo.

Si parla di gruppi autonomi. Che scenari si aprirebbero per il Pdl-Italia a trazione finiana?

La rottura sancirebbe una crisi all’interno della maggioranza e trovarne una alternativa sarebbe poco agevole per Berlusconi. Il presidente del Consiglio avrebbe tutto l’interesse a spingere per nuove elezioni, e in quel caso i finiani si troverebbero a nuotare in acque pericolose.

Ci spieghi meglio.

Non c’è soltanto il fatto che Gianfranco Fini ha grossi problemi con il Pdl. C’è il problema, ancora più grande, che l’ex leader di An ha con il suo popolo. Dubito che il presidente della Camera possa trovare ancora consenso nella sua base tradizionale. L’evoluzione politica di cui si è reso protagonista negli ultimi anni, lo ha allontanato dai temi forti che stavano a cuore al suo elettorato: dalla bioetica all’immigrazione.

Dove crede che siano finiti i voti di Gianfranco Fini?

La vecchia destra missina è ormai divisa: quelli di area cattolica sono ormai confluiti nel Pdl, mentre gli elettori che votavano Alleanza Nazionale in nome dell’ordine e della sicurezza, si sentono ormai pienamente rappresentati dalla Lega. E come è noto, chi finisce nelle braccia di Umberto Bossi non torna più indietro.

Prospettive poco allettanti, per il presidente della Camera.

Fini mi sembra in difficoltà, inutile negarlo. Fare un passo indietro equivarrebbe a un brutto danno d’immagine e credibilità politica, farne uno avanti significherebbe consegnarsi a una condizione di fragilità. Ma ciò che conta, è soprattutto il suo futuro politico. L’ex leader di An era un tempo un punto di riferimento per l’anticomunismo. E oggi, l’“adozione a distanza della sinistra” lo mette in grave difficoltà. Viaggiare a destra, è per lui molto complicato. E viceversa, il tragitto sarebbe impervio anche sterzando il volante a sinistra.

Torniamo al prossimo futuro. Davvero Fini dovrebbe lasciare l’incarico di presidente della Camera, come preteso da Berlusconi?
A livello giuridico non esiste nessun vincolo. Si tratterebbe piuttosto di un problema politico, di forti pressioni che lo spingerebbero a lasciare l’incarico. In qualità di presidente della Camera, Gianfranco Fini riveste di un ruolo chiave nel disciplinare l’ordinato fluire della vita parlamentare. E proprio per questo, Berlusconi avrebbe tutto da guadagnare a far saltare il banco.

Viene da pensare che Fini dà fastidio perché è la rappresentazione plastica degli endemici difetti degli azzurri: assenza di collegialità, mancanza di strutture, vocazione “dadaista”
Credo che il problema vada rovesciato. Fini rappresenta la persistenza di modelli politici tradizionali all’interno di un partito che ha fatto della rottura con gli schemi del passato il suo punto cardine. Il Pdl è un partito atipico, qualcosa di molto simile a un comitato elettorale funzionale a un sistema bicefalo: da una parte il proporzionale legato a uno schema multipartitico, dall’altra il maggioritario puro. I vecchi partiti, dall’attuale Pd all’An che fu, sono legati ad altre coordinate politiche, dissimili da quelle contemporanee.

La vecchia politica è quindi destinata allo scacco?
La fortuna del Cavaliere è basata sull’ansia di rinnovamento di una parte del Paese che chiede le riforme. E in questo cammino, la vocazione di Fini alla politica tradizionale è stata e sarebbe per Berlusconi un inciampo.

Senza Fini, però, la grande rivoluzione liberale del Cavaliere finirebbe nel piccolo signoraggio localistico della Lega.
Non credo che il distacco di Fini produrrebbe conseguenze di questo tipo. A ben guardare, il “nordismo” del Carroccio è ben bilanciato dall’attenzione mostrata dal Cavaliere per il Meridione. Da Napoli alla Sicilia, il Pdl si è mostrato sensibile alla salvaguardia di una porzione del Paese oggi più che mai strategica dopo l’exploit della Lega alle ultime elezioni.

Quanto ha inciso l’inarrestabile marcia di Bossi sulla marginalizzazione di Fini?

È stato determinante. Fini oggi rischia di scomparire. (f.l.d)

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