mercoledì 21 aprile 2010

Blocco aereo. Il filosofo Manlio Sgalambro: «Basta realtà simulate, l'Occidente deve riflettere su se stesso


Roma. «C’è un discrimine basilare che condiziona ogni tipo di riflessione sul principio di precauzione adottato dalle compagnie aeree in questi giorni: il fattore tempo. L’ultima volta che si verificò l´eruzione del vulcano islandese era il 1821, e allora il fenomeno durò due anni. Se anche in questo caso dovessimo attendere lo stesso tempo, non dovremmo far altro che farci epigoni di Ulisse. Quando l’eroe omerico si trovò a dover affrontare il canto delle Sirene, fu prudente perché ebbe cura di legarsi all’albero della sua nave. Ma allo stesso tempo, non seppe resistere al desiderio di conoscenza. Udì quel canto, e le sue orecchie ne vennero straziate, certo. Ma infine conobbe quella melodia irresistibile, e fu in grado di dominarla. Il principio di precauzione adottato nell’antica Grecia, si adatta alla perfezione a questo fenomeno che per certi versi è oscuro. Bisogna premunirsi e mettersi al riparo dal pericolo, insomma, ma la scienza deve attrezzarsi nel più rapido tempo possibile affinché questa polvere scura diventi conoscibile. Ciò che può essere conosciuto, è in qualche modo oltrepassabile. E i media, piuttosto che votarsi a timor panico e sensazionalismi, dovrebbero farsi in questa congiuntura vettori di scienza e di raziocinio».  Cavaliere dell’intelletto, ottantasei anni di cui buona parte spesi a scrutare l’umanità contemporanea alla luce di uno sguardo caustico, Manlio Sgalambro vede nell’impronunciabile vulcano islandese che ha paralizzato il traffico aereo di questi giorni, uno di quei ciclici accidenti che ricordano all’uomo la sua finitezza.


Maestro, bisogna dar retta agli scettici che minimizzano la pericolosità della nube, oppure a quanti predicano cautela assoluta?

Il buon senso mi fa ritenere che se molte compagnie aree sono orientate a mantenere il blocco del traffico aereo nonostante le clamorose perdite economiche, qualcosa, lassù, dev’essere tutt’altro che innocuo. Mi pare di avere capito che sulle polveri vulcaniche non esistono certezze consolidate ma solo quelle che un tempo nell’antica Grecia erano considerate divinazioni. Le stesse che oggi l’era tecnologica ribattezza come “simulazioni”.   

Può essere deciso che un aereo prenda il volo in base a una verità simulata?

È lo stesso concetto di verità simulata che deve farci riflettere, Essa trova oggi in molti ambiti dello scibile piena applicazione: in economia si prevede l’andamento di un determinato titolo azionario, in meteorologia si presente l’arrivo di un vento o di un acquazzone. L’osservazione empirica, cioè, procura una serie di dati che l’uomo elabora dalla storia passata per produrre modelli di narrazione del presente. Nell’era capitalistica, la simulazione ha ben figurato, e si è spesso rivelata affidabile. Non fosse che l’imprevisto, l’incombere delle ragioni della natura, scompiglia spesso le ragioni dell’uomo. Il fatto che negli ultimi decenni, l’uomo tecnologico e pseudo-onnisciente abbia assistito impotente a numerosi cataclismi, non è privo di ironia tragica.

Sospetto che questo ci possa riportare all’antica Grecia.

Proprio così. Il principio di precauzione applicato allo spazio aereo, ci fa riflettere però su una differenza. Al tempo dei argonauti, era il mare l’elemento nebuloso contro il quale il marinaio opponeva l’esperienza, quell’insieme di mille raggiri che consentono all’essere umano di prolungare l’esistenza e nutrire al contempo il senso del viaggio insito in ogni uomo come esperienza del limite in contrasto con la conservazione della specie. La cautela con la quale si parla oggi dello spazio aereo, ci dice invece che l’uomo è cosmonauta, ma che il senso del viaggio ha mutato di segno. Non c’è più aspirazione verso il limite, ma necessità utilitaristica, il bisogno di esistere quasi ubiqui, in luoghi che un tempo non sarebbero stati raggiungibili nel volgere di pochi minuti.

Come dire che questa nube islandese, e il blocco dei voli, ci abbia come rimpiccioliti di colpo.

Almeno per qualche giorno, ci sentiremo forse come piccoli Icaro precipitati. Ma, al di là di quanto possa durare l’incertezza, o la cautela, sta di fatto che l’uomo non rappresenta per la natura nessun fine, come direbbe Lamarck. La natura non è consapevole che laddove le ceneri esplose da un lontano vulcano islandese, volino aerei che trasbordano uomini in ogni dove. Ciò che ci appartiene e il raziocinio tanto quanto l’audacia, lo sforzo di adattare l’inadattabile ai nostri meccanismi di comprensione. Il principio di cautela, che cos’è se non paura? (f.l.d)


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