mercoledì 14 aprile 2010

«Attenti a dare troppi poteri a Berlusconi». L'allarme del presidente della Corte Costituzionale

Roma. «È molto difficile conciliare l’esigenza di un Parlamento forte con le prerogative proprie del sistema presidenziale. E ancora più complesso risulterebbe collocare il presidenzialismo entro i confini della nostra Carta Costituzionale, che pone al centro la rappresentanza parlamentare ed è fondata sull’equilibrio dei poteri. Il presidenzialismo, viceversa, introdurrebbe il predominio di un potere sugli altri. L’elezione popolare consegnerebbe al Presidente una legittimazione enorme, tale da sovrastare gli altri poteri come accade in Francia». Piero Alberto Capotosti, presidente emerito della Corte costituzionale, analizza così la possibile riforma presidenziale che sta facendo discutere la nostra classe dirigente.

Presidente, si parla molto di semopresidenzialismo alla francese. Un modello che può trovare realizzazione nel nostro Paese? 
Continuo a ritenere che il semipresidenzialismo alla francese presenti una serie di incompatibilità tali da richiedere un grande rimaneggiamento della nostra Costituzione. Al Presidente francese, ad esempio, è consentito lo scioglimento delle Camere. La scelta di questo modello comporterebbe una rottura costituzionale e imporrebbe un referendum costituente. La sua eventuale applicazione rappresenterebbe cioè l’autentica nascita della Seconda Repubblica, fondata su una Costituzione differente da quella del 1948.

Ritiene che il presidenzialismo sia assimilabile alla nostra Costituzione? 
Al momento è difficile fare valutazioni nello specifico. Innanzitutto perché non è stato ancora sciolto un primo dilemma, ovvero se l’elezione popolare dovrà riguardare il Capo dello Stato o il Primo Ministro. E in secondo luogo non è ancora chiaro quale modello si intenda assumere come riferimento. Esistono numerose varianti di presidenzialismo, e ciascuna possiede peculiarità legate al ruolo che i partiti rivestono in ciascun sistema : vi sono modelli improntati sul carisma del leader, come nel Venezuela di Chavez, e altri che poggiano su sistemi partitici agili, come negli Stati Uniti. 

E che cosa pensa a riguardo della “via americana”? 
Il presidenzialismo statunitense si articola su una netta separazione dei poteri. Innanzitutto tra il Congresso e il Presidente, al quale non è dato il potere di sciogliere le Camere. Il sistema vigente  è calato in una cornice ideologica labile, in cui partiti hanno strutture leggere che li rendono molto simili a comitati elettorali. Non così in Italia, dove il Presidente avrebbe il diritto di nomina diretta, producendo un forte grado di attenuazione degli organismi di controllo.

Esistono modelli di riferimento europei ai quali l’Italia potrebbe guardare con minori difficoltà? 
Il sistema tedesco o quello inglese sono molto equilibrati. Il cancelliere e il premier non hanno l’enorme potere derivante dall’elezione popolare. Ma il vero problema è un altro.

Dica pure.
In Italia si è sempre partiti dalla coda. Non abbiamo mai avuto il coraggio di modificare la forma di governo, prima di quello elettorale. Per un sistema presidenziale, il modello più efficiente è quello che prevede il collegio uninominale, mentre la storia italiana è segnata dal sistema proporzionale e dalle preferenze. Il rischio di un cambiamento di sistema elettorale è che si accentui ancora di più l’astensionismo. Più che del sistema di governo, i cittadini sarebbero interessati al sistema per arrivare a fine mese. (f.l.d.)

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