mercoledì 20 gennaio 2010

L'inciucio segreto tra Lula e Berlusconi: ecco perché Cesare Battisti non verrà estradato. Torregiani: «Tradimento di stato»

l retroscena raccontato ieri su liberal dalla nostra Valentina Sisti lascia con l’amaro in bocca. Il Brasile non ha alcuna intenzione di restituire all’Italia Cesare Battisti, e il nostro Governo non ha alcuna intenzione di farne una dramma. Voci, segnali e indiscrezioni si intrecciano ancora una volta sull’asse Brasile-Francia-Italia. Una storia che ritorna, che se trovasse conferma di qui a qualche mese, non potrebbe che ripetersi. Non più come tragedia trentennale, ma come farsa. In sintesi i fatti. Due mesi fa la Suprema corte brasiliana si pronuncia favorevole all’estradizione dell’ ex leader dei Proletari armati per il comunismo condannato all’ergastolo per banda armata, rapine, possesso d’armi, gambizzazioni e quattro omicidi. A questo punto si aspetta l’ultima parola del presidente Lula, ma questi si mostra stranamente afasico. Gli interrogativi montano fino a che, nei giorni scorsi, il quotidiano Folha de San Paulo dà a quel silenzio connotati ben precisi: c’è in corso una trattativa, in avanzata fase di definizione, per sottrarre ancora una volta Battisti alla giustizia italiana. Ieri, dalle pagine del nostro giornale, il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, ha invitato a «non dare retta alle voci» e ha garantito la fermezza della posizione italiana. Ma se l’accordo ci fosse, converrebbe a tutti. In primis a Silvio Berlusconi, che il 18 febbraio si recherà in visita a Brasilia. Le nostre feluche starebbero tentando di rimandare la negata estradizione dello scrittore con l’hobby del killeraggio a debita distanza dalla visita del premier in terra carioca. Un rinvio strategico di un paio di mesi. Il tempo necessario per evitare che i soliti terroristi mediatici possano imputare al presidente del Consiglio eventuali responsabilità rispetto alla mancata consegna del contumace. Lula infatti sembra orientato a negare Battisti alla giustizia italiana. Ma non più per motivi politici. La stampa brasiliana riferisce infatti che il governo italiano lo riterrebbe un «gesto aggressivo e inelegante». Ragion per cui si sarebbe fatta largo l’ipotesi più comoda per tutti: «motivazioni umanitarie». Una formula buona per le esigenze di ognuno: al nostro premier arriverebbe qualche pacca sconsolata sulla spalla (stavolta non è andata, ma meno male che Silvio c’è), a Lula la solidarietà dei compagni più irriducibili, che fa tanto sinistra radicale in vista delle prossime elezioni brasiliane. Ma nell’incontro del 18 febbraio, spiega Folha, non c’è in ballo solo una questione d’immagine. Dopo l’intesa siglata da Iveco a dicembre, si definirà probabilmente per l’Italia una sostanziosa commessa militare: 2044 veicoli blindati prenderanno la volta di San Paolo, in aggiunta a una decina di unità navali. Si configura insomma, secondo le indiscrezioni raccolte, un inciucio mica male. Qualcosa di molto simile a quello che sta accadendo in Italia intorno alla riforma dei processi: la messa a punto dell’estradizione breve, alias morta. Per di più motivata da legittimo impedimento. Ragioni umanitarie che non trovano molto solidale Alberto Torregiani. Lo stesso che quel 16 febbraio 1979, allora quindicenne, perse per sempre suo padre Pierluigi insieme all’uso delle gambe, in seguito a un brutale agguato dei Pac di cui si rivelò essere mandante Cesare Battisti. «Chiederò conto della vicenda al nostro presidente del Consiglio e mi attivo fin d’ora affinché mi riceva – dice a liberal Torregiani – se la vicenda dovesse avere anche un fondo di verità, chiamerò a raccolta le Associazioni delle Vittime e scenderemo in piazza a gridare la nostra rabbia. Non si tratta soltanto della mia famiglia, ma di una famiglia più grande, quella delle vittime, che aspetta di avere giustizia da trent’anni. Le pallottole di Battisti ci hanno strappato i nostri cari, ma il mancato rientro di un delinquente comune, ci strapperebbe per sempre la fiducia nello Stato. E soprattutto la speranza. Non si può barattare la dignità per quattro carri armati». Non si potrebbe, ma sulla vicenda pesa anche il pressing attuato su Lula da Nicolas Sarkozy, in occasione di quel Natale 2008 in cui si venne a sapere che il presidente francese si era adoperato presso il collega brasiliano affinché si tenesse in casa il rifugiato politico Battisti. Con lo zampino, si disse allora, della sensibilità umanitaria di Carla Bruni e Fred Vargas. «Purtroppo gli atteggiamenti pilateschi non mi sorprendono – prosegue Alberto –. Quando incontrai Sarkozy e gli chiesi spiegazioni, alzò le spalle dicendomi che la questione di Battisti non era di sua competenza. È una patata bollente che ci si passa di mano in mano. In realtà avevo capito da tempo che anche Lula avrebbe lasciato scivolare la cosa. Quando si è costretti a rinunciare alle gambe, resta molta più energia per usare per la testa. È almeno da Natale che la questione è stata messa in stand-by». Non deve essere stato facile, attendere giustizia per trenta lunghi logoranti anni, ma Torregiani non è affatto rancoroso: «Io non nutro verso Battisti nessun odio. Mi ha scritto un paio di volte, e non gli ho negato la mia risposta come non l’avrei negata a nessuno. Continua a ripetere che è innocente, e questo è a mio parere un motivo in più per cui dovrebbe affrontare i nostri magistrati. Non ho alcun desiderio di rivalsa. Anzi le dico che se Battisti fornisse le prove della sua innocenza, io diventerei il suo primo sostenitore. Ciò che io e le altre vittime vogliamo è soltanto giustizia, e se davvero lui non fosse responsabile di quanto è accaduto, noi marceremo al suo fianco. Un vero uomo non sfugge alle accuse, qui la Costituzione garantisce ancora un giusto processo». Forse ancora per poco. (f.l.d)

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