giovedì 28 gennaio 2010

«La radice della Shoah è ancora viva». Parla Giovanni Maria Flick


È la cronaca recente a confermare quanto sia importante ricordare l’Olocausto. Episodi di ignobile idiozia come il furto della scritta posta ad Auschwitz, rendono bene l’idea di quanto sia meschina l’illusione di cancellare la memoria con un atto furtivo, o di venderla al mercato dell’orrore. Quella scritta peraltro è una bestemmia: ma se il lavoro nei lager rendeva liberi di morire, la memoria del lager invece rende liberi di vivere. Liliana Segre, una sopravvissuta che ha sperimentato di persona quei vagoni della morte che partivano dal binario 21 della stazione di Milano, ha spiegato quanto sia necessario tenere alta la guardia. Bisogna ricordare. La memoria rende liberi».

Giovanni Maria Flick è diventato presidente onorario del Museo della Shoah di Roma lo scorso anno, dopo aver lasciato la presidenza della Corte costituzionale. E in occasione della Giornata della Memoria appena trascorsa, racconta a liberal la sua attività al servizio della causa. «La legge sulla memoria nata nel 2000 è la sintesi di due principi ispiratori – spiega Flick –. Alla Camera si accentuò allora la riflessione sulle corresponsabilità italiane. Al Senato si approfondirono maggiormente i collegamenti tra quella tragedia alle altre aggressioni ai diritti umani. Il Giorno della Memoria è il terreno di incontro di queste due istanze. E la base di partenza, dalla quale muove l’istituzione del museo della Shoah e del museo dell’identità della cultura ebraica a Ferrara, cui hanno fatto seguito il museo della Shoah di Roma e il binario 21 di Milano. Un continuum che è volto ad appuntare concretamente nella memoria alcune delle tappe tremende che punteggiarono lo sterminio. È essenziale creare una geografia del ricordo».

Fu proprio dieci anni fa che si scelse il 27 gennaio per commemorare l’ecatombe. «Possiamo ricordare il giorno in cui sono stati aperti i cancelli di Auschwitz, il 16 ottobre, giorno della deportazione di Roma, il 6 dicembre del ’43, il giorno in cui si misero in moto i treni del binario 21, o le leggi razziali del ‘38. Ma la scelta di questo o quell’evento, non muta le cose. La geografia del ricordo di cui parlavo poc’anzi, è utile a dilatare il tempo della memoria, a distribuirlo in questi luoghi di riflessione connessi tra loro dalla necessità di non dimenticare la sofferenza». L’oblio o la stortura restano però sempre in agguato. «Ha ragione chi dice di temere che il passare del tempo possa  comportare il rischio di disperdere la memoria e di consentire la diffusione di sempre crescenti fandonie negazioniste – avverte il presidente –. Primo Levi testualmente diceva: “Spaventa quello che potrà accadere tra una ventina d’anni, quando tutti i testimoni saranno spariti. Allora i falsari avranno via libera e potranno affermare o negare qualsiasi cosa”. Vent’anni sono passati, da quando Levi diceva queste cose, e quel pericolo non è ancora scongiurato. Ma possiamo evitarlo se trasformiamo il ricordo in radice e in identità». Il pensiero si rivolge subito alle nuove generazioni. «Finché un giovane andrà ad Auschwitz e avrà un pugno nello stomaco, si potrà dire che la missione della memoria è stata compiuta, ma per fare questo occorre continuare il percorso intrapreso dieci anni fa».
Un sentiero non privo di insidie.«Bisogna evitare le trappole – ammonisce Flick –. Trappole come la memoria selettiva, quella rancorosa e quella a comando. E mettersi al riparo da un particolare disturbo della memoria, che attraverso l’inflazione del ricordo trova una scappatoia per dimenticare le tragedie del presente». La cronaca italiana recente, punteggiata da gravi episodi xenofobi, fa sorgere inquietanti interrogativi. «L’Olocausto è un fatto irripetibile – dice il presidente –  non solo per le dimensioni quantitative ma perché al male si aggancia la scientificità dell’orrore. La Shoah è unica, ma la radice della Shoah è sempre viva e possono sempre ripetersi purtroppo le condizioni per il suo verificarsi».(f.l.d)

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