lunedì 23 novembre 2009

«I numeri dicono che l'immigrazione è necessaria, conveniente e incontenibile», la Lega se ne faccia una ragione


«A leggere i dati Istat di quest’anno in prospettiva, ciò che desta allarme non è solo la riconferma di un tasso medio di natalità molto basso e un netto calo di matrimoni , ma la grande discrepanza tra informazioni in nostro possesso e politiche economiche e sociali in grado di contrastare o invertire questo trend negativo. Se non si attuano misure conseguenti con una certa sveltezza, lo scenario futuro non potrà che dipingersi a tinte fosche». Antonio Golini, professore di Demografia presso la Facoltà di Scienze Statistiche all’università La Sapienza di Roma, commenta così alcuni degli aspetti più allarmanti emersi dall’ Annuario Statistico dell'Istat.


Professore, un italiano su cinque ha più di 65 anni. Saremo sempre più un paese per vecchi, nel prossimo futuro?

L’invecchiamento della popolazione italiana non va colto come un segnale negativo. Al contrario è indice di un rapporto sempre migliore tra l’avanzare degli anni e il grado di benessere fisico. Ipotizzare o constatare che un Paese non invecchia abbastanza, vorrebbe dire in concreto che l’anzianità non possa essere goduta appieno da tutti, nelle migliori condizioni possibili. D’altra parte, l’idea di non invecchiare è inaccettabile.  Ciò che deve far riflettere è semmai la natalità sempre più risicata. Il problema non è tanto che ci saranno sempre più anziani, ma che ci saranno sempre meno giovani.

Di questo passo, non c’è il rischio che il mercato del lavoro diventi sempre più immobile e respingente per il mondo giovanile nel prossimo futuro?

Niente affatto. Si tratta di una obiezione molto comune, che però è statisticamente infondata. La maggior parte degli uomini italiani oggi in età pensionabile, ricopre ruoli lavorativi  cui i giovani non aspirano. I lavoratori over 60 sono mediamente provvisti di una licenza elementare o di una licenza media, per cui svolgono mansioni che difficilmente possono essere ambite da un ragazzo tra i venti e i trent’anni. In quella fascia d’età, il titolo di studio più diffuso è il diploma o la laurea. In  Italia, nella fascia compresa tra i 55 e i 65 anni, lavora il 32 per cento della popolazione, contro il 70 degli omologhi in Svezia. Quella stessa Svezia,  che per inciso, ha il miglior welfare del mondo.

Uno spunto utile per i nostri governanti?

I dati dicono che occorrerebbe dare respiro al nostro welfare. Innalzare l’età pensionabile a settant’anni significherebbe mantenere in attività uomini ancora perfettamente abili, e per certi versi, come già spiegato, insostituibili. E inoltre, spostare in avanti il termine dell’ attività lavorativa, consentirebbe di reperire risorse atte a tutelare l’impiego giovanile e a incentivare forme di lavoro più stabile. Solo un esempio di come le nostre politiche siano inadeguate rispetto alle tendenze demografiche.

Approfondiamo

Devono far riflettere anche le politiche scolastiche. Negli scorsi decenni i bambini che frequentano le elementari sono scesi da cinque a tre milioni, ma in parallelo sono aumentati gli insegnanti.

Si fanno pochi figli in Italia. Anche in questo caso è colpa di politiche poco attente alla famiglia?

È evidente. Le analisi statistiche dicono che più ci sono figli, e più le condizioni delle famiglie peggiorano spingendosi fin dentro o sulla soglia  della povertà. La verità è presto detta: le coppie italiane sono talmente trascurate, che oggi, per loro, fare figli equivale a essere penalizzati.

Soluzioni?

Innanzitutto favorire l’accesso delle donne al mondo del lavoro, e tutelarne con forza i diritti. I dati dicono che le donne con un lavoro stabile sono quelle più propense ad avere figli. E poi predisporre un numero sufficiente di asili nido, che in Italia sono in numero scandalosamente inadeguato. E poi il terzo punto: introdurre finalmente il quoziente familiare.

Sull’immigrazione si dice tutto e il contrario di tutto. I dati in nostro possesso, che cosa suggeriscono di fare, nel medio e lungo termine?

Occorre fare una premessa indispensabile, per rispondere. Chi conosce i numeri, sa benissimo che l’immigrazione è per l’Italia necessaria, conveniente e incontenibile. In ottica futura essa deve però essere regolamentata, perché le cifre attuali dicono che ogni anno arrivano nel nostro Paese  300-400 mila immigrati. Un numero che, nell’ottica di una perfetta integrazione è eccessivo. Occorrerebbe quindi, se i numeri hanno senso, ridurre i flussi di qualche unità. Ma allo stesso tempo, poiché gli immigrati rivestono un ruolo decisivo nel ringiovanire il nostro Paese e nel ricoprire incarichi di lavoro lasciati vacanti dagli italiani, è necessario concedere quanto prima la cittadinanza a chi nasce e cresce nella Penisola, godendo dei servizi messi a disposizione dalla collettività. Negare questo diritto o condurre politiche poco accoglienti è miope e pericoloso, perché significa innescare nel nostro tessuto sociale delle bombe a orologeria. (f.l.d)

Da Liberal 21 novembre 2009

Nessun commento:

Posta un commento