martedì 3 novembre 2009

Gomorra ore 16.00 all'Antica Caffetteria si serve la Morte



Non sono neanche le sedici al rione Sanità di Napoli. È una calda giornata di maggio, e all’Antica Caffetteria di via Vergini sfilano donne con la borsa a tracolla, famiglie a caccia di gelati, e tipi corpulenti che spremono soldi e imprecazioni dal rullio impazzito delle slot-machine. Poi, per pochi istanti, il silenzio. Pochi attimi in cui il mondo sembra fermarsi, lasciando agli orli tondi della pensilina che svolazzano al vento, il compito di segnalare un falso allarme. Tutto infatti torna a scorrere. C’è un uomo che raccoglie il suo banchetto lercio dal marciapiede, e c’è un padre che issa il figlio sulle spalle. C’è una signora che fila dritto e il barista che torna a scaldare le tazzine del caffé. Ma in quell’undici maggio, in quel pomeriggio come tanti fatto di gente che entra ed esce dall’Antica Caffetteria di via Vergini, c’è un uomo riverso con la faccia inzuppata nel suo sangue. Cinquantratré anni, camorrista accusato dell’omicidio di uno dei boss Moccia, Mariano Bacio Terracino era anche un abile svaligiatore di caveau. Dopo aver fato di tutto per rendersi invisibile in vita, la sorte beffarda lo vuole impalpabile anche da morto. Resta di lui un lungo piano sequenza di quattro minuti, quelli compresi tra le 15.45 e le 15.49. La telecamera all’esterno, che ha filmato l’omicidio, mostra un’esecuzione squallida e anonima, senza crescendo di rulli e cut nervosi. Solo la strada, il vento, e l’oscena fissità della morte in diretta.

La scena vede Terracino davanti la caffetteria. Pantaloni beige, camicia bianca, è poggiato dinanzi a una macchinetta mangiasoldi, di quelle che piacciono ai bambini. Tiene nella destra una sigaretta da cui aspira qualche pigra boccata. È l’ultima, ma non può saperlo. Così come non sa che l’uomo alla sua sinistra, a meno di due metri da lui, sta per dare il segnale che lo spedirà all’altro mondo. È il palo. Anche lui in camicia e maniche arrotolate, segaligno, gli occhiali in testa e l’aria di chi potrebbe attaccare bottone da un momento all’altro con una qualunque esclamazione meteorologica seguita da uno sbuffo. Non lo fa, invece, perché d’improvviso sembra assalito dalla fretta. Dà un’occhiata furtiva al suo vistoso orologio da polso. Poi passa davanti a Terracino e sparisce. Intanto nel bar c’è il solito tran tran: un cliente che paga, un altro che pigia i tasti della slot. In mezzo alla sala c’è un uomo tarchiato. Ha un cappellino da baseball nero che gli copre parte della faccia, un bomber verdastro e le scarpe da tennis bianche che fuoriescono dai jeans. Sembra intento a scegliere un gelato dal distributore. ma ciò che gli interessa è la fuori, dove un uomo segaligno ha appena guardato il suo orologio ed è fuggito via sfiorando Terracino. Lui, l’uomo con il cappellino, infila le mani in tasca e si avvia verso l’uscita. A destra, in piedi, c’è Terracino che fuma. L’uomo dal cappellino allunga appena il braccio destro verso di lui. Ha in mano una pistola. La canna sfiora la nuca di Terracino. Fa fuoco. Terracino cade sulle ginocchia e stringe il pugno. Ancora fuoco. Terracino rimbalza con la schiena in avanti. La mano para il viso in un ultimo riflesso di sopravvivenza. L’uomo col cappellino si curva su Terracino. Ancora fuoco, l’ultima volta. La zazzera grigia di Terracino, è ormai attaccata al marciapiede. Il suo braccio, quello da dov’era partito l’ultimo riflesso che tentava di proteggere il volto dalla caduta, sembra ormai solo una goffa cornice che tenta di nascondere il sangue tra il grigio del marciapiede e il bianco della camicia. Terracino, ladro di caveau, ci teneva a restare invisibile. E pudico, sembra esserci riuscito anche stavolta. Sono pochi istanti di silenzio e di vuoto. Sventolano gli orli della pensilina e poi torna la vita per il rione. Gente che beve, gente che guarda, gente che paga. All’Antica Caffetteria di via Vergini è tutto come sempre. È un pomeriggio di maggio, e Mariano Bacio Terracino, boss, ladro, infame, è rimasto invisibile.

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