martedì 3 novembre 2009

Giulio Ferroni: «Berlusconi ha detto così tante balle da aver svuotato la lingua italiana di significato»


Roma. «Non c’è da stupirsi, nell’osservare l’odierna barbarie linguistica. Siamo nel Paese che ha prescelto come guida un presidente del Consiglio che ha costruito le sue fortune sulla tv commerciale, che ha prosperato su un modello culturale fondato sulle volgarità dei talk-show e le licenze dei drive-in. La sistematica corruttela del nostro patrimonio espressivo non è che la spia di un più profondo processo di sgretolamento contenutistico. Studi e competenze sono state sostituite da strepiti, insulti e humour pecoreccio. Si è contrapposta la diceria all’arte retorica, il coretto da osteria al serio dibattito, la tronfia ignoranza all’eleganza istituzionale. I latini dicevano che gutta cavat lapidem. E la pietra latina è stata scalfita benissimo. A tal punto da trasformarla in una italianissima lapide». Giulio Ferroni, docente di Letteratura italiana all’università La Sapienza di Roma, non sembra nutrire grandi speranze. E non induce troppa consolazione il fatto che, nella più spericolata delle ipotesi, si possa sostenere che ser Brunetto e ser Brunetta siano accomunati in fondo dalla stessa vocazione linguistica: il ricorso al volgare.

Professore, quali sono i salti logici che hanno portato molti protagonisti del Parlamento dal politichese al gergo di strada?

È un fatto di concorrenza spietata. La caccia allo share inaugurata dalle reti private ha sospinto sempre più verso il basso il livello della comunicazione e del messaggio, premiando l’aggressività e la ferocia ai danni della moderazione e della qualità espressiva. Le baracconate e le lacrime finte, i cazzotti e le gag combinate non hanno interpolato soltanto il linguaggio politico, ma hanno risospinto il baricentro della nostra lingua verso i modelli più poveri e bassi. Ed è stata azzerata la pretesa educativa del mezzo televisivo, che mirava al contrario a uniformare l’italiano su standard più elevati. Il connubio sempre più stretto tra salotto televisivo e salotto politico, non ha fatto altro che mischiare i due mondi per sempre. E non è un caso, infatti, che molti esponenti politici odierni abbiano fatto formazione politica nella gazzarra televisiva e che altri, visto che il clima lo consente, si spostino senza particolari sforzi di adattamento, dalle quinte di un varietà a quelle del Parlamento.

Siamo di fronte a nuove strategie di consenso vagamente populistiche?

Magari si trattasse di strategie. In una panorama del genere, attentamente preparato a tavolino a immagine e somiglianza di alcune fazioni, il calcolo politico è assolutamente irrilevante. Occorre semplicemente dar fiato alla bocca. Buona parte degli italiani ha introiettato talmente tanto paradigmi e sistemi di pensiero dominanti, che sono pronti ad accogliere in buona fede le più indifendibili corbellerie e le più grandi menzogne.

E il continuo appello al popolo, la dice lunga, in questo senso.

È la tecnica dello spot pubblicitario moderno, che non ha quasi mai a che fare con il prodotto che tenta di vendere, ma punta tutto sullo choc e il colpo ad effetto. Confondere, stupire, è molto meglio che convincere e descrivere. E la parola riveste sotto quest’aspetto un ruolo fondamentale. Tutto sembra autentico e commovente, perché corrisponde ormai al nostro immaginario.

Un mondo dove fatti e verità assomigliano a rette parallele: non si incontrano mai.

Non si tratta infatti di una semplice falsificazione del linguaggio, che trasformato in insulto occulta l’argomentazione. Siamo in presenza di una corrispondente falsificazione della Storia che favorisce ad esempio certe bizzarrie di marca leghista. In un Paese come il nostro, in cui la cultura è stata posta sotto sequesto e lasciata a pane e acqua, l’invocazione del popolo a giustificazione di qualunque scempiaggine è garanzia di sicuro successo. (f.l.d)

Da Liberal 14 ottobre 2009

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