lunedì 7 settembre 2009

Enrico Mentana: «Berlusconi ha mischiato fatti privati al suo ruolo pubblico.Le inchieste di Repubblica ci stanno tutte»



«È sbagliato dedurre dagli ultimi spiacevoli accadimenti una fase terminale dell’informazione italiana. Il giornalismo non vive di canoni estetici che di volta in volta affermano rinascenze o tramonti proprio come si fa in accademia per le fasi creative di Picasso. In primo luogo, perché la carta stampata non vive di estri o conversioni, ma dei fatti.che si trova a testimoniare. E poi perché i fatti italiani, compresi gli ultimi, sono iscritti nella storia complessiva di questo Paese. Vicende e uomini che i quotidiani nazionali sono chiamati a rappresentare, risentono qui da noi di toni, maniere e fini maturati in un quadro politico-culturale complesso, di cui la stampa italiana, come in nessun altro luogo del mondo, è il riflesso speculare. Un processo di ibridazione, se non di autentica promiscuità, che ha trovato nel consolidarsi del bipolarismo, i tratti di aggressività e spregiudicatezza che molti rimproverano alla nostra stampa, e che invece sono l’ideale prosecuzione della militarizzazione politica che investe da tempo questo Paese». Enrico Mentana, trent’anni di giornalismo alla spalle, di cui dodici alla guida del Tg5, considera gli ultimi veleni sgocciolati sulla stampa a proposito del caso Feltri-Boffo, come parte di un meccanismo seriale che si ripete da tempo.


Prima le escort del premier, poi il caso Boffo. Giornalismo malato o diritto di cronaca?


Bisogna dire la verità una volta per tutte. Appellarsi al gossip o alla degenerazione di una stampa sempre più imbarbarita è come volere nascondere le proprie nudità dietro a una fogliolina di prezzemolo. Le vicende che hanno coinvolto Silvio Berlusconi, dalla partecipazione alla festa di Noemi alla candidatura di veline, dal suo femminario ridotto a ufficio di collocamento per incarichi pubblici, passando per festicciole ed escort, non sono derubricabili a pettegolezzi, ma sono stati riportati da Repubblica sulla base di fonti reali e di inchieste giudiziarie come quella avviata dalla procura di Bari. E dal momento che la giustizia si mette in moto nei confronti di un persona investita da un incarico pubblico, di privato resta ben poco. Non ci si può scagliare contro la stampa in questi casi. Se determinate condotte suscitano l’attenzione della magistratura, il giornalista ha il dovere di renderne conto. È inutile deprecare la gogna mediatica e strepitare per l’invasione della privacy. Un certo tipo di privatezza, mischiata all’esercizio della funzione pubblica, non può essere sottratta al diritto di cronaca manu militari. È sciocco credere che il privato di un comune cittadino, sia significativo quanto quello di un uomo pubblico. 


Giudizio assimilabile alla querelle tra Giornale e Avvenire?


Se Vittorio Feltri avesse titolato a nove colonne che Boffo è un omosessuale, e avesse fatto delle tendenze sessuali del direttore di Avvenire la ragion d’essere del suo pezzo, ci saremmo inequivocabilmente trovati al capolinea della professione giornalistica. Ma non è questo ciò che è accaduto, e per quanto possa essere spiacevole l’effetto prodotto dal “rovistare nel comodino”, anche nel caso di Feltri vale l’osservazione fatta a proposito di Repubblica. Anche in questo caso, si è partiti da un atto giudiziario che conteneva delle notizie. E anche stavolta, il direttore di un giornale dai valori ben identificabili come Avvenire non può invocare il silenzio sulla sua vita privata, se questa ha avuto modo di fluire nella sfera pubblica per qualche ragione.


Non crede che, a proposito di deontologia, una notizia vada divulgata con tempismo e non tirata fuori dal cassetto per ragioni di opportunità?


In un mondo ideale, sarebbe logica conseguenza riportare la notizia per tempo. In Italia invece è differente. La nostra informazione paga lo scotto di un derby infinito tra centrodestra e centrosinistra. Per continuare la metafora calcistica, la vicenda Boffo segna l’inizio di un girone di ritorno, che all’andata ha visto Repubblica, Unità e altre testate unite dall’antiberlusconismo, mettere a segno diversi punti vincenti. È chiaro che nel caso del direttore di Avvenire, un altro colpo basso sia stato aggiunto ai molti sferrati in questi anni nel nostro Paese. Ma in un’ottica spregiudicata, improntata a un giornalismo d’assalto perseguito a destra e sinistra con identica ferocia, l’articolo di Feltri ci può stare. Tanto quanto i pezzi di Repubblica. 


Il giornalismo italiano, feroce e volgare come il bipolarismo?


La guerra tra bande che caratterizza la nostra politica e i nostri quotidiani, ha polarizzato odi e rancori dando vita a cicli conflittuali che si ripetono uguali a se stessi in date circostanze. E per quanto la mia visione del mestiere sia antitetica a quella della campagna a mezzo stampa e alla denigrazione scientifica di questo o quell’avversario, trovo che le ultime biasimate operazioni giornalistiche non siano affatto sorprendenti. Dalla guerra di posizione, a bassa intensità, si è tornati nell’arco di pochi mesi a quella di movimento, secondo dinamiche osservate più volte sui nostri giornali. 


I conflitti a fuoco via stampa sono ingiusti ma inevitabili, insomma?


In tutta franchezza, penso che molte delle campagne messe in piedi da Repubblica contro fatti e vicende riguardanti Silvio Berlusconi avessero piena ragione d’essere. E che in qualche frangente, si sia però ecceduto e proceduto sulla scorta di indicazioni insufficienti. E viceversa non bisogna dimenticare neppure titoloni e vesti stracciate che accompagnarono il caso Telekom Serbia e il dossier Mitrokhin. Nulla di nuovo sotto il sole, insomma. Il problema vero è un altro, in realtà.


Dica pure.


Noi italiani non possiamo continuare a indignarci a corrente alternata. Non è possibile fare la parte dei tori nell’arena. Se siamo pronti a caricare il bersaglio non appena sventola la bandiera del colore che più ci adira, non possiamo deprecare la crudeltà dello spettacolo nel momento in cui si finisce infilzati. E inoltre dovremmo chiederci se certo vecchio giornalismo felpato, privo di mordente e vis polemica, sarebbe auspicabile in un clima politico come il nostro. I manovratori, da che mondo é mondo, vanno sempre disturbati. (f.l.d.)


Da Liberal 5 settembre 2009







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