martedì 9 giugno 2009

Contro i terroristi ambientali delle multinazionali, la bellezza delle Terra nell'ultimo grande film di Luc Besson


Dalle torri di ghiaccio dell'Artico ai moai dell'isola di Pasqua, dalle giraffe kenyote al passo solenne dei cammelli che attraversano le sabbie della Mauritania. Home, documentario del regista francese Luc Besson presentato ieri in anteprima mondiale su YouTube in occasione delle Giornata Mondiale dell'Ambiente, è un film di aerea bellezza. Vertiginoso e rapito a centinaia di metri dal suolo, il mondo che calpestiamo, che ci vede sgomitare e scavare, interrare e invelenire la bellezza e la storia, si tramuta in un istante in un monito estatico. Questione di altezze, questione di un rapido scarto dalla miopia allo strabismo, dalla visione alla veggenza. Nessun cigno agonizzante, nessuno tsunami ripreso in slow motion come in brutto videoclip di realtv. Le panoramiche dall'alto catturate da Besson e dal fotografo Yann-Arthus-Bertrand lungo un percorso intorno a 54 Paesi della Terra, non ricattano nessuno. Semmai distanziano e profondano insieme, suggeriscono che dal palmo di naso alla coscienza kantiana, basta un altimetro regolato all'altezza delle nuvole. Dalle donne africane che ammucchiano vivande ai picchi innevati del Kilimangiaro, ogni piano sequenza di Home riproduce in chi lo guarda l'effetto innato che coglie l'uomo al cospetto della Piramide. La sensazione di un'interezza inattingibile, che si apparecchia a uno sguardo che non riesce ad afferrarla. Una bellezza intuibile ma inafferrabile, che il filosofo di Königsberg chiamò sublime. Le immagini del documentario lo servono compiuto, nello scorrere dei fotogrammi, senza l'armamentario angoscioso di chi difende la salute a colpi di blitz orrorifici nei polmoni altrui. Besson sceglie di abbracciare la grande causa dell'ambiente a partire dalle sue molte meraviglie superstiti. Sceglie il brivido dell'armonia, invece che il grido del terrore. Fa tintinnare la cordicella dell'infinito, lasciata lasca nel tran tran dei nostri giochi a mosca cieca, invece che la squilla di una campana a morto. Ci solleva con la macchina da presa a un punto di vista per definizione disumano. Ci regala il mondo come non lo vediamo, e ce ne lascia l'alone. Scuotimento dei sensi e vertigine in questi novanta minuti di Home. Un progetto che illumina la riscossa di Besson e segna una lauta vendetta contro quei Cahiers du cinema che in questi anni lo hanno accusato di fare un cinema per gimmick , per stereotipi beceri importati direttamente dalla profondità drammaturgica di un personaggio da wrestling. Un film importante, che dopo la rivoluzionaria preview su YouTube, gratuita e ad alta qualità, accende i riflettori sul concetto di patrimonio. Autoriale, ambientale, morale che sia, la logica del profitto non può recintarlo e privatizzarlo a prescindere. Ci sono cose, ingenerate o umane, che sono di tutti e a tutti vanno date. Cose come le bellezze di questa Terra e quelle di certe arti partorite da queste, che non possono essere lottizzate e spartite in una guerra di corporation, Cose materiali e immateriali, come l'acqua e il grano, le culture e le preghiere, che non possono finire, annientate in tondini di monete, o negate a vite umane trattate alla stregua di settori aziendali improduttivi. In Home c'è tutto ciò che sopravvive, che interroga a partire dall'estasi, le viscere dell'uomo transitorio che popola e spopola questo suolo immenso a suo piacimento come nel Risiko. Prequel ideale dell'apocalittico futuro de Il quinto elemento, l'opera di Besson torna alle radici di Le grand bleu: un'apnea rarefatta nell'Oceano dei nostri cieli. L'uomo decide se risalire o discendere nel contatto estremo con gli elementi. E anche qui l'uomo trattiene il fiato per respirare di qualcosa che non è più in lui. Visibile in tv e al cinema, in circa 180 paesi e 80 canali TV, sugli schermi giganti di 80 piazze, da Time Square a New York al Campo di Marte sotto la torre Eiffel, Home è in ogni senso un film contro il possesso. Una pellicola che ribalta la prossemica del credere. Nell'altura della macchina da presa, che plana nel suo piccolo universo, l'uomo non è più costretto a torcere il collo verso il cielo. Partecipa da lassù a uno sguardo disumano, che lo annienta come individuo e lo restituisce a se stesso. Icaro che non precipita, ma cade dolcemente in un abbraccio.

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