martedì 14 aprile 2009

Da Saviano a Rita Atria l'Italia che si ribella. Il nuovo teatro civile post-Gomorra
























Lontano dagli eccessi onanistici denunciati dai critici compunti di Io sono un autarchico. E altrettanto distante da quel tipo di palcoscenico che la tv spazzatura ha trasformato nel proprio termovalorizzatore. Creativo ma senza isterie sperimentali, impegnato senza essere barboso, e pieno di giovani in barba alla gerontocrazia (drammaturgica e non). Il nuovo teatro italiano si muove nelle periferie e accoglie malcontento e rabbia, voglia d’impegno e partecipazione.
Sulla scia di Gomorra, adattamento teatrale dell’omonimo romanzo di Roberto Saviano del 2007, per la regia di Mario Gelardi, il racconto del disagio ha preso piede in tutta Italia, fornendo linfa fresca e nuove impensabili fasce di pubblico, a un settore che si dibatteva esanime, da tempo, nella maniera di se stesso.Via la dizione pomposa, via i rigidi cliché della scrittura drammaturgica e stop agli odiosi precetti per cui il pubblico compri necessariamente spettacoli per ridere di pancia o piangere a dirotto. Il nuovo teatro è fatto da giovani autori ed attori finalmente visibili, che vanno oltre le convenzioni di genere. E dire che, prima dell’uscita di Gomorra, a quello che una volta si chiamava teatro civile, non ci credeva più nessuno. «È stato un percorso davvero difficile quello che ha portato alla realizzazione dello spettacolo – spiega il regista Mario Gelardi – fatto di molti no e rifiuti, sembrava quasi che la camorra non fosse un tema interessante per il panorama teatrale. Ricordo ancora le parole di qualcuno: «È un problema locale, non interessa al pubblico». E invece, quando il Teatro Mercadante di Napoli decise di produrre lo spettacolo, la camorra interessò eccome, e complice il libro, galeotto il cinema con il lungo di Garrone, il risultato è che Gelardi non ha più smesso di andare in scena, aprendo la strada a numerosi progetti civili, lasciati marcire in tutta Italia nei cassetti di enti e assessorati. Per restare a Gelardi ad esempio, è stato presentato in questi giorni al San Ferdinando il nuovo allestimento de La Ferita - dalla Parte dei Ragazzi, spettacolo teatrale ispirato alla memoria di Annalisa Durante, giovane ragazza uccisa da alcuni sicari nel 2004. Si tratta di un reading tra parole,
musica e coscienza sociale da lui scritto e diretto, capace di mescolare azione teatrale e testimonianze dirette di numerosi familiari delle giovani vittime di camorra. Vita di periferia, gioventù sacrificata e malavita, sono i tratti salienti di Uncinnè, dramma di Pietra Selva Nicolicchia che prende le mosse dalla parabola tragica di Rita Atria. Nata nel 2006, la pièce racconta la storia vera di una ragazza siciliana che si uccise dopo aver denunciato la mafia a sedici anni. E quest’anno, complice anche qui la benefica triade realtà-film-romanzo, ha aperto il cartellone 2008/09 del Teatro Perempruner di Grugliasco, per poi essere rappresentata in numerosi palcoscenici italiani, dove si è imposto all’attenzione di pubblico e critica. In ambito siciliano, ha riscosso un ottimo successo di pubblico Teatrando, rassegna teatrale organizzata dalla provincia di Palermo e riservata a giovani compagnie teatrali. Silenzi di Paolo Bono, indagine sulla follia nata da un laboratorio con giovani ragazzi, l’opera più applaudita per l’impegno civile in bilico con il sogno di un mondo nuovo. Sintomatico di un teatro aperto alla contaminazione
fra generi, accattivante come l’immaginario cinematografico, e contemporaneamente vicino ai disagi delle periferie, anche Io, Clarence, spettacolo firmato e interpretato da Adelmo Togliani. Fortemente voluto dal Teatro di Roma di Giovanna Marinelli, è di recente andato in scena al teatro di Tor Bella Monaca, nel progetto di una riqualificazione di pubblico e periferie. L’ibridazione di slang giovanili, tic di borgata e vezzi cinefili, rimescola di continuo nel plot di Togliani, una sezione dialoghi fitta di tensione e sospensione. Rimbalzi di linea, di umori biliosi e disagi a cavallo tra il romantico e sociale, attraversano in modo energico una storia che omaggia il pulp tarantiniano per andare a parare dalle parti della teen commedy rivista e (s)corretta, che è una santa pietra scagliata contro mocciosi e moccismo cinematografico. Due giovani della Roma per niente bene, che si trovano alle prese con un assassinio, metafora visibile del loro disagio esistenziale indossato come una zavorra, che impedisce ai desideri di alzarsi liberi. In sintesi, Io, Clarence. Dalla fucina partenopea, e dallo stesso spirito giovanile, in questo caso perduto e indagato disperatamente, viene anche La Terra Senza di Ivan Stefanutti, passato di recente al Teatro Bellini di Napoli. Storia di un ritorno al Sud, ma anche nel Sud di se stessi da anni rimosso. Metafora di una questione meridionale ancora aperta, servita però con fibrillazione cinematografica, e senza pesantezze tribunizie. Le stesse, sulla carta inevitabili, che gravano su uno spettacolo come La Costituzione di Ninni Bruschetta. Andato in scena in questi giorni al teatro Quarticciolo di Roma, l’opera sostituisce i punti fermi dei paragrafi costituzionali con agghiaccianti punti interrogativi sparsi a piene mani da attori scelti fra studenti e cittadini della periferia romana. E contro ogni aspettativa, diventa sul palco un racconto appassionante dei valori fondativi della Repubblica. La Costituzione come fantasma che entra dal palcoscenico e siede accanto a noi come un convitato di pietra. «I miei giovani attori – commenta Bruschetta – hanno interpretato la Costituzione come un testo morale, vi hanno trovato un appiglio sicuro, l’idea sui cui fondare la loro esigenza di essere “attori” sul palco, ma anche nella vita di ogni giorno». Dal palco alla vita, e viceversa, passando per il cinema, le periferie, l’immaginario comune, lo slang di ogni giorno e la quotidianità di un impegno, che diventa passione libera e civile. Agile ma non fragile, serio ma non serioso, il nuovo teatro italiano post-Gomorra parte dal basso, deciso a dare cittadinanza a chi non sopporta più di vivere nel cellophane delle città invisibili. «La libertà – diceva un mostro sacro del teatro – è partecipazione».



Da Liberal 9 aprile 2009

1 commento:

  1. Ti ringrazio per i tuoi commenti entusiastici riferiti all'opera Io, Clarence. Adelmo Togliani e la Compagnia dell'Accademia Achille Togliani.

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