martedì 10 febbraio 2009

Tutte le bugie e alcune scomode verità su Gioacchino Genchi. L'uomo che scoprì che dietro la morte di Borsellino ci sono le ombre dello Stato


«Sta per uscire uno scandalo che sarà il più grande della storia della Repubblica. Un signore ha messo sotto controllo 350mila persone, dobbiamo essere decisi a non consentire questo sistema di indagine che non deve continuare. Dobbiamo porre dei limiti certi per la sicurezza dei cittadini». Era il 23 gennaio, ma il premier Silvio Berlusconi, presago di luttuose sventure, stavolta era stato tradito dalle sue abilità divinatorie. Se c’era da scandalizzarsi, da lanciare allarmi, da gridare al complotto, sarebbe stato profetico farlo un anno e quattro mesi prima. Il 4 ottobre 2007, La Stampa, nella placida acquiescenza di tutti dava notizia che «De Magistris ha acquisito migliaia di tabulati telefonici di cittadini le cui utenze (cellulari e di rete fissa) erano emerse tra i contatti di diversi suoi indagati». Farlo il 23 gennaio del 2009, è come ammettere di aver fatto un’omissione di soccorso. Nello stesso articolo del quotidiano torinese, figuravano una serie di nomi presenti nel fantomatico archivio. Di cui, molti, smentiti dallo stesso consulente Gioacchino Genchi. Nei piani di chi aveva architettato ad arte la fuga di notizie, aggiungere il nome del procuratore Armando Spataro sarebbe significato aizzare contro De Magistris i tre quarti della magistratura italiana. «Spataro non c'azzecca nulla», ha chiarito Gioacchino Genchi Idem per il prefetto Gianni De Gennaro. Cercare di infangare il consulente di Castelbuono, lasciando credere che avesse avuto l’ardire di indagare il capo della Polizia, era una mossa scaltra. Peccato che De Gennaro non abbia abboccato. Se il premier di solito usa i numeri come figure retoriche, il Corriere ne oscura il talento poetico con un titolo choc. «Genchi, 5 milioni di numeri di telefono». Un italiano su dieci è intercettato, accidenti. George Orwell è vivo e lotta tra noi. L’emozione è effimera. Il tempo di scoprire che si tratta solo di un titolo menzognero e sleale. All’interno del giornale viene chiarito che il numero delle richieste va diviso per quanti sono gli operatori telefonici, e poi ancora per le volte in cui la stessa scheda sim ha cambiato intestatario. Un calcolo neppure troppo impegnativo, renderebbe evidente che le utenze sono dunque non 5 milioni, ma neppure un migliaio. Come chiarito da Gioacchino Genchi ad Anno Zero, «i tabulati sono 752». Quasi tutti i giornali italiani, contestano inoltre a Genchi di aver intercettato cellulari facenti capo a servizi segreti e parlamentari. In primo luogo, Genchi non ha mai intercettato nessuno in vita sua. Semmai si occupa di tabulati, perché non spetta ai consulenti intercettare. In secondo luogo, le utenze per cui si chiedono le autorizzazioni, sono semplici numeri di telefono come tutti. «Quando trovo un numero di telefono durante un’indagine – ha chiarito Genchi - lo accerto. E se trovo un numero dei servizi, che posso farci? Non mi pare che siano al di sopra della legge. E nella Why Not? sono state rilevate le utenze di autorevoli soggetti dei servizi e del Ros dei Carabinieri». «La fandonia delle utenze coperte da segreto di Stato – conclude il consulente- ancora non l’avevo sentita. E mi spiace che a parlarne siano stati dei magistrati. Come si può stabilire da un tabulato che un numero di telefono è “coperto da segreto di Stato”? Dove è scritto? Questo è ridicolo». A riprova dell’enorme corbelleria agitata tra gli scranni del Parlamento, De Magistris fa sapere all’Espresso di non avere «potuto sapere, alla fine, chi fossero le persone intestatarie delle varie utenze. Com'è noto, infatti, mi è stato avocato il fascicolo prima di averne la possibilità, mentre a Genchi è stato revocato l'incarico di consulenza. Risultato: non esiste una relazione finale». Panorama, tuttavia, presenta l’attività del consulente siciliano con un rispettoso “Nella rete di Interceptor”, senza dimenticare di condire la biografia di Genchi con un’elegante premessa: un uomo dall’”ego smisurato”. A giudicare dalla carriera, nella vita di Genchi di smisurato c’è stato soltanto il coraggio. Come racconta Salvatore Borsellino, fratello del compianto giudice ucciso barbaramente, «Il giorno stesso della strage di via D’Amelio Genchi si precipita sul luogo della strage con il capo della mobile La Barbera e quella sera stessa compie un sopralluogo sul monte Pellegrino presso il castello Utveggio». Il motivo è molto semplice. Nella sentenza del processo Borsellino bis si legge che «Il dr. Genchi ha chiarito che l’ipotesi che il commando stragista potesse essere appostato nel castello Utveggio era stata formulata come ipotesi di lavoro investigativo che il suo gruppo considerava assai utile per ulteriori sviluppi; essa tuttavia era stata lasciata cadere da chi conduceva le indagini al tempo. Il dr. Genchi esponeva tutti gli elementi sulla cui base quella pista era stata considerata tutt’altro che irrealistica. Genchi, spiega Salvatore Borsellino, aveva scoperto utenze clonate, e una rete di comunicazioni lungo il percorso per via D’Amelio già operativa da giorni, intrecci fra pezzi di Stato e “altro”. «Nel castello aveva sede un ente regionale, il C.E.R.I.S.D.I., dietro il quale avrebbe trovato copertura un organo del Sisde – conclude la sentenza. A proposito di ipotesi lasciate cadere, veniamo quindi al’inchiesta Why Not. Perché tutti, ma proprio tutti i politici italiani dai nomi chiacchierati blaterano sul Grande Orecchio e sulla democrazia in pericolo? Solo l’imminente stretta sulle intercettazioni? Troppo ovvio. Nel grande gioco delle illazioni, c’è chi ne suggerisce alcune davvero niente male, a proposito dei tabulati di Gioacchino Genchi. «Perché sarebbero così importanti questi tracciati?» – si chiede il giornalista del Sole24ore Roberto Galullo. «Perché – secondo molti – dice Galullo - conterrebbero la prova provata che Cuffaro – sotto inchiesta per i suoi rapporti in odore di mafia – veniva costantemente aggiornato sullo stato dell’arte da Berlusconi. Fantasie? Non lo so, me lo auguro, ma per certo so che il 2 maggio 2008 il Gup di Palermo Fabio Licata ordinò la distruzione di tutte le intercettazioni dei colloqui tra Berlusconi e Cuffaro avvenute tra il 2003 e il 2004. Non sarà che Interceptor ha avuto l’unico torto di essere troppo bravo?» In Italia, prima o poi, chi tocca i fili muore. L’importante è che, si tratti di una ragazza moribonda da diciassette anni, o di un uomo che serve lo Stato con onore e coraggio da alcuni lustri, il suo corpo e la sua esistenza siano a disposizione per essere sacrificati. Tutte le volte che i Grandi Cerimonieri hanno bisogno di stordire le genti con i turiboli narcotici. Chi li respira smette di pensare. Il torto di Genchi è di non aver smesso di capire.

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