martedì 24 febbraio 2009

Napolitano contro i tagli, la Gelmini contro gli sprechi, e intanto i giovani italiani affondano insieme all'Università


ROMA. «La ricerca e la formazione sono la leva fondamentale per la crescita dell’economia. Questa è una verità difficilmente contestabile, e apparentemente non contestata nelnostro Paese». In visita all’ateneo di Perugia, che compiva ieri settecento anni dalla sua fondazione, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, striglia il governo in seguito alla drammatica riduzione dei fondi destinati alla ricerca e all’università. «Mi auguroche siano maturi i tempi per ripensare e rivedere scelte di bilancio improntate a tagli indiscriminati», ha auspicato il capo dello Stato, ma la risposta di viale Trastevere non si è fatta attendere. «Premiare le università migliori e tagliare gli sprechi: è questo quello che vuole fare il governo», ha replicato la numero uno del dicastero, Mariastella Gelmini. Che rimarca come «le preoccupazioni del Capo dello Stato sono anche le preoccupazioni del governo». Nell’intervento perugino, Napolitano ha sottolineato che, nonostante la crisi, occorre un deciso rilancio della conoscenza e della ricerca, «leva fondamentale per la crescita economica e sociale» e unica carta vincente nella sfida dei mercati globali. Inevitabile non scorgere dietro il monito presidenziale e la pronta replica del governo, il sorgere di nuove polemiche sul ferreo regime dimagrante imposto agli atenei dall’ultima Finanziaria, che a partire da quest’estate avevano paventato la cessata attività causa mancanza fondi. Nel mirino la manovra triennale approvata dal Parlamento la scorsa estate, un provvedimento presentato dal governo come la fine di sprechi e privilegi a favore della meritocrazia, e accolto dai rettori come un colpo d’accetta del valore di più di un milione e mezzo di euro ai dannidel Fondo di finanziamento ordinario. Un’emorragia di capitali che già da quest’anno ha trasformato il sistema universitario italiano, di suo ingessato e afflitto da meritofobia, in un tronco che sente e che pena. Tra l’azzeramento dei finanziamenti all’edilizia universitaria, i blocchi del turnover, i disagi abitativi e le borse di studio insufficienti, e la sempre più esigua attenzione rivolta al mondo della ricerca, l’Università nostrana ha mostrato quest’anno ulteriori e sinistri scricchiolii. Detto che nel World university rankings 2008, graduatoria britannica stilata da The Times, bisogna scorrere duecento posizioni per trovare traccia di un ateneo italiano, e quattrocento per individuarne altri otto, il numero degli iscritti alle università italiane è calato nel 2009 del 4,4 per cento a fronte di un numero di diplomati notevolmente accresciuto. Un segnale di sconforto dettato sì dalla crisi, ma di certo legato all’aumento conseguente delle tasse universitarie e delle difficoltà logistiche di studenti immersi in un quadro generale che sembra azzopparne le prerogative occupazionali, in funzione di drastici tagli. Bisogna «valorizzare le risorse di capitale umano e di sapere evitando la dispersione di talenti e risultati troppo spesso sottovalutati», ha ricordato a tutti il capo dello Stato, che ha invitato a non abbandonarsi a «generalizzazioni negative e liquidatorie». Fatto sta che, ovunque sia la verità, posti gli atenei italiani come pazienti in debito di ossigeno, premiare quelli più volenterosi è certo meritevole. Il problema è staccare alla spina a quelli in difficoltà. Perché a rimetterci non è chi spreca, ma chi spreca il suo futuro: i giovani.

Da Liberal 24 febbraio 2009

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