mercoledì 25 febbraio 2009

La cultura italiana contro Baricco: «dice solo baggianate»


Ha scritto che dinanzi a un'esplosione imminente, nei film americani restano agli incauti protagonisti due strade: pensare molto velocemente o darsi alla fuga. Ma negli ambienti culturali italiani, poco avvezzi all'adrenalina del turning point hollywoodiano, le reazioni suscitate dall'intervento di Alessandro Baricco ondeggiano fra la perplessa contemplazione antonioniana, e il leggero friccicorio della slapstick comedy. «Basta soldi pubblici al teatro , meglio puntare su scuola e tv», ha fiammeggiato ieri sulle colonne di Repubblica lo scrittore di Castelli di Rabbia. Che di fronte alla valanga della crisi, propone in brusca sintesi di strappare la cultura dalla fecondazione assistita dello Stato, di lasciar fare al mercato, ormai maturo per un'offerta degna dell'intelligenza di massa, e di reinvestire i soldi risparmiati dalle sovvenzioni pubbliche nei settori più importanti e più trascurati: scuola e televisione. Prendi ad esempio il teatro di regia, spiega Baricco, «l'unico riconosciuto in Italia», laddove fare teatro potrebbe essere semplice semplice. «Uno che scrive, uno che recita, uno che mette in scena e uno che ha soldi da investire», chiosa l'autore di Novecento, potrebbe trasformarlo in un gesto naturale. «Baricco non sa quello che dice, per questo che ha scritto tante baggianate». La voce di Gabriele Lavia, regista e attore di teatro che non ha bisogno di presentazioni, rompe subito l'arcano tentatore di quel «fare rotondo e naturale», che nella lingua lussuosa di Baricco è fare teatro libero. «Voglio sperare si tratti di una provocazione, perchè tuonare contro il sistema teatrale italiano, in un momento come questo in cui migliaia di attori sono in giro per l'Italia a portare i loro spettacoli senza ricevere un euro per mancanza di fondi, mi sembra come assestare il colpo di grazia a una creatura agonizzante, che ha tanto bisogno di vivere», spiega il regista. Eppure Baricco ha tentato di rassicurare tutti: l'editoria, in mano ai privati, vende e offre cultura di svariato genere. Perchè non il teatro? «È un esempio fuori luogo, quello dei libri. Dei libri si fanno le copie. Ma del teatro, della danza, della musica, che sono legati a eventi irripetibili, a una persona fisica che converge verso un altro che guarda e produce senso a sua volta, che farne? Una riproduzione seriale? Stimo Baricco come narratore, ma confermo la prima impressione: dice sciocchezze», conclude irremovibile Lavia. Passiamo oltre e ritentiamo con Glauco Mauri. «I privati pronti a investire nella cultura? Mi piacerebbe che Baricco ce ne presentasse qualcuno, perchè a me risulta che a proporgli l'Edipo, se la danno a gambe levate», spiega l'attore e regista impegnato da cinquant'anni a portare emozioni e nobiltà in giro per l'Italia. «Banalità e mediocrità sono ormai metastasi troppo estese, per potere ragionevolmente estromettere lo Stato dall'iniziativa culturale. Sottrarre le ultime risorse ad arti corporee, che producono scintille per contatto fisico, significa dichiarare morto il paziente. La cultura di questo Paese ha bisogno dello Stato, per tenere vivi i suoi anticorpi», commenta Mauri. E il mercato libero, domanda e offerta sintonizzata sui consumi culturali, quel fare rotondo e naturale del business secondo Baricco? «I privati italiani mettono soldi soltanto dove sono sicuri di farne molti di più di quanti ne investono. È questa l' unica verità», spiega l'attore. E così la mente pensa velocemente all'Orestea di Eschilo del 1972, che lo vide splendido protagonista sotto la regia di Luca Ronconi. Poi la mente pensa velocemente al simpatico Marco Carta che interpreta l'ipotetico musical di Amleto in mezzo a ragazzine che si strappano i capelli alla Scala, e cerchi un gancio in mezzo al cielo per dartela a gambe anche tu. Dov'è finita l'intelligenza di massa? Meglio scoprirlo mentre si corre. Per darsi alla fuga. Ma qualcuno pronto a sottoscrivere un gesto anglosassone, a un fare rotondo e naturale? Tentiamo con Fioravante Cozzaglio, già presidente dell'Antpi (Associazione Nazionale del Teatro Privato Indipendente). La domanda è sempre la stessa. Pronti a questa joint-venture nel mondo della cultura? «Senza dubbio. I privati sono pronti a supportare il sistema teatrale», ci dice Cozzaglio portando una ventata di baricchiano ottimismo a questo giro d'orizzonte finora drammatico. Non fai in tempo a vedere i pianisti italiani che improvvisano mirabilie a largo di tutte le isole italiane, non fai in tempo a immaginare il pubblico esultante che sventola i fazzoletti dalle navi crociera, che arriva subito la mazzata. «Il problema è che non ci sono privati che possono riuscire a combinare qualcosa di importante senza l'aiuto dello Stato», prosegue Cozzaglio. Niente da fare. L'operazione Goodbye novecento dev'essere rimandata. Serve la ciccia di Stato, di quella sana che ci ha fatti crescere sani e belli come vuole mamma Rai. Ma dare i soldi pubblici alla televisione, neppure? «I soldi pubblici alla tv li diamo già, con l'effetto che comanda lo stesso la pubblicità». Le parole di Glauco Mari suonano abbastanza suadenti, ma chiediamo lumi anche a Cozzaglio. «La televisione è un contenitore, bisogna capire che cosa volere ficcarci dentro, e chi decide cosa. Ma la mia preoccupazione è un'altra. Non vorrei che l'intervento di Baricco venisse preso al balzo da chi è intenzionato ad azzerare i finanziamenti allo spettacolo e al teatro. Non vorrei che qualcuno facesse leva su questo per dire: ecco, lo dice anche l'intellighenzia, tagliamo via i fondi». E la scuola, anche i fondi da destinare alla scuola sono una "baggianata"? «Laddove Baricco dice che bisogna rialfabetizzare i giovani, penso si possa essere tutti d'accordo - spiega Cozzaglio - ma bisogna vedere che cosa andiamo ad insegnare, e che cosa intendiamo per valorizzare la cultura alla luce dei consumi reali». Pensi velocemente a Sal Da Vinci che scalza l'omonimo invendibile Leonardo, e capisci perché della soluzione Baricco non riesci a far innamorare nessuno.
«Le premesse e le considerazioni di Baricco sono condivisibili, ma le conclusioni sono invece pericolose, e forse devastanti. Per il teatro, e non solo», argomenta il pluridirettore artistico e regista Maurizio Scaparro. Che ha un sogno anche lui: «Da grande vorrei dirigere il Lincoln Center. Un gigante privato che ha una magnifica attenzione verso il pubblico. In Italia i privati hanno solo interesse per il privato». Un coro a più voci che risponde a Baricco "non possumus", insomma. All'era dell'intelligenza di massa, il teatro italiano, l'opera, la musica contemporanea, non sono ancora pronti. Bisogna prima smaltire lo shock. Magari cercando di costruirla prima, a partire dalla scuola, come dice da par suo lo stesso Baricco. Siamo ancora, sembra, liberali all'amitriciana, bravi a investire i soldi degli altri. Quel «fare rotondo e naturale» è per noi ancora troppo anglosassone. Forse era solo una provocazione futurista, quella di Baricco, uomo di lettere e di cinema. Se siamo fortunati resterà un'invenzione senza futuro.
Da Liberal 25 febbraio 2009



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