martedì 6 dicembre 2011

Il debito pubblico della Germania è il più alto d'Europa: le molte verità che nessuno vi dice su Eurolandia

L’Eurozona ha un debito complessivo del tutto sostenibile rispetto a quello statunitense. Ma le politiche farraginose e inconcludenti dell’Unione hanno favorito l’isteria dei mercati oggi più che mai atterriti dalla sindrome del contagio. Ha un bel dire il commissario agli Affari economici Olli Rehn, a sottolineare la necessità di barriere antincendio. Ma a che cosa servono se in primo luogo, in un palazzo che rischia di andare a fuoco, continua a mancare l’acqua?». Professore di Economia industriale e Commercio estero alla Cattolica di Milano, Marco Fortis segnala da tempo sul Messaggero e il Sole24Ore la necessità di una scossa. «L’Europa », spiega a liberal, «continua a ingrossare i nuvoloni che si addensano sull’euro. Ci stiamo facendo del male da soli. La Germania non ha ancora capito che continuando ad opporre veti che indeboliscono i Paesi partner si troverà presto con una montagna di crediti inesigibili. Basti ricordare che i tedeschi esportano in Francia prodotti per cento miliardi di euro. Angela Merkel rischia di segare il ramo su cui è fiorito il suo Paese». Il gioco stucchevole della dichiarazia europea, in apparenza un codice sovranazionale che di fatto è un codicillo minore nel vocabolario di lingua tedesca, ha dato ennesima prova di sé in occasione della recente visita di Rehn in Italia. Il commissario si è detto allarmato dal rischio che le tensioni sui mercati si diffondano velocemente dai paesi periferici fino alle nazioni dell’Europa centrale come la Francia e la Germania. Ha poi aggiunto che «siamo tutti sulla stessa barca», ma tanta comprensione si è tradotta in un concetto semplice semplice. Niente eurobond perché la Germania è in disaccordo. «Non possiamo più permetterci il protezionismo finanziario a tutela di questo o quel Paese membro. A causa di un attendismo interessato, il caso tutto sommato modesto del crac greco si è trasformato nella scintilla di una guerra mondiale proseguita con mezzi finanziari », continua Marco Fortis. «L’obiettivo primario per allentare la tensione», spiega l’economista, «è ridurre la pressione sui tassi d’interesse. In nome di un rigorismo miope, l’Unione europea sta avallando la sua autodistruzione. Un vero paradosso che consente alla irrazionalità attuale dei mercati di avere il sopravvento sui fondamentali economici di Paesi come il nostro, che invece sono molto solidi».

«Ma oltre a evitare la fuga degli investitori» prosegue il professore, «l’Italia è chiamata a salvarsi da un piaga per certi versi più funesta. Bisogna evitare che il panico si propaghi anche all’interno del Paese. Vendere i nostri titoli di stato per gettarsi a capofitto sui bund, equivale a realizzare una meravigliosa patrimoniale in favore di Berlino. Irrorare ulteriore liquidità in Germania non può che accelerare la paralisi. Senza contare che l’Europa a 27 ha rappresentato per l’economia tedesca un bottino di tutto rispetto: mille miliardi sul piatto della bilancia commerciale. Prima di eleggere il rigore a unico arbitro della partita, la Germania dovrebbe riflettere su questi dati. Essere solidali conviene, anche perché la situazione tedesca è molto meno brillante di quanto farebbero pensare i continui rimbrotti ai Paesi “spreconi”». «Il salvataggio di alcune banche», osserva il professor Fortis, «è costato a Berlino qualcosa come dieci punti di Pil, in rapporto al quale il suo debito pubblico è cresciuto dal 73,5% fino all’83,2%. La verità che nessuno dice è che il debito tedesco è il terzo debito pubblico lordo più alto del mondo in valore assoluto. Ammonta a 2080 miliardi. E supera di 236 mi liardi quello italiano che invece è fustigato da tutti. Ciò sta a rappresentare che il Pil non vuol dire un tubo rispetto al debito. Ciò che conta è semmai il debito verso l’estero. E anche qui, Germania e Francia sono sullo stesso livello italiano. Per noi è del 51 per cento, per la Francia il 50 e per la Germania il 40. Come si fa a pensare a un crac italiano, se la Grecia ha un debito verso l’estero che invece è pari al 90 per cento del Pil?».

«È impensabile», precisa Fortis, «che l’Unione europea pensi di cavarsela imponendo all’Italia lacrime e sangue. Da quasi vent’anni il nostro Paese ha frenato la corsa del debito pubblico, e ha in ogni caso un debito privato risibile. Non così gli altri Paesi, che fingono di crescere ma in realtà rubano a se stessi crescita futura con il debito, proprio come facemmo noi anni fa». Quando si parla di fondamentali solidi, spesso ci si accontenta del suono di un’espressione confortante. Ma a chiarire di che cosa si parla davvero, quando vi si fa accenno, ci pensa Fortis. «L’ultimo “Fiscal monitor” del Fmi prevede che nel 2016 il debito pubblico lordo americano toccherà il 112% del Pil, e cioè sarà molto vicino a quello italiano. Con la differenza che le nostre famiglie detengono 3600 miliardi della ricchezza finanziaria, pari al 178 per cento del Pil. E che in America, invece, le famiglie detengono una montagna di debiti. L’Italia è stato l’unico Paese del G7 a presentare un avanzo primario pari allo 0,2 per cento del Pil. E negli ultimi venti ne abbiamo prodotto per 800 miliardi. È questo l’indizio pià importante, quello che dice il vero stato di salute dell’economia di un Paese. E dovrebbero essere questi i parametri che speculatori e governance europea dovrebbero tenere in considerazione. Rientrare dal debito è certamente importante. Ma in questo momento soprattutto per gli altri. Il deficit degli di Stati Uniti è al 9 per cento, quello della Gran Bretagna al 5,5, quello della Francia al 3,3 e quello tedesco allo 0,3. Per dirla in estrema sintesi, l’Italia è rimasta quello studente svogliato che è stato rimandato nel ’92. E quello che da allora ha studiato più di tutti ma continua a essere trattato da somaro. La verità è che sono gli altri ad aver smesso di fare i compiti. Ed è ora che Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, rinuncino all’impossibile pretesa di rappresentare la virtù. Piuttosto si rifletta a uno Stato che sulla carta è unitario, quello europeo, e però non è autorizzato a battere moneta. Si pensi a sfruttare a pieno il potenziale di una moneta, l’euro, che anche in questa congiuntura catastrofica, resta solida. È ora di superare un panico ingiustificato, alimentato dalle nostre divisioni».
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