lunedì 5 dicembre 2011

Carlo Dell'Aringa: «Riforma pensioni molto dura, equità subito o rischiamo una recessione ancora più buia»

Roma. «Il governo deve sapere che 40 è un numero magico e intoccabile» ha fatto sapere il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. «Diciamo un no deciso all’ipotesi di un blocco totale del recupero dell’inflazione per le pensioni perché andrebbe ad aggravare la situazione già fin troppo difficile dei pensionati», avvisa la Cisl. «Sarebbe ingiusto», ribadisce la Uil. «I lavoratori non avrebbero nessun aumento alla pensione; lavorerebbero gratis». Intorno alla riforma delle pensioni promessa all’Europa dal premier Mario Monti, i sindacati sembrano aver ritrovato compattezza. C’è la ferma intenzione di dare battaglia. E di reclamare in ogni caso dei margini di contrattazione che il governo, vincolato alla road map concordata con Bruxelles, giocoforza non possiede. Basterà poco meno di una settimana per coniugare equità e rigore? «Sarà dura», risponde subito Carlo Dell’Aringa, docente di Economia politica alla Cattolica di Milano che è stato vicino a diventare ministro per il Welfare del governo Monti. «Da una parte è chiaro che l’Italia non può permettersi slittamenti che vadano oltre la prima settimana di dicembre. Dall’altra, occorre valutare le obiezioni sollevate dai sindacati, che sono certamente fondate».
Professore, l’obiettivo quota 100 per il 2015, con il via libera spostato a 41 o 43 anni ha creato preoccupazione. Un allarme giustificato?
C’è una duplice ragione di scontento. Innanzitutto il fatto che di per sé, con la finestra che si apre già oggi a 41 anni, e non a 40, un ulteriore scatto verso quota 43 penalizzerebbe ancora di più i lavoratori di settori usuranti. E in secondo luogo va considerato anche che il posticipo del via libera non è favorito da incentivi. È difficile, in effetti, convincere coloro che sono vicini alla pensione a lavorare ancora senza nessun tipo di incremento sul trattamento. Sarebbe come lavorare gratis. In pochi accetterebbero. E viceversa, gli incentivi costerebbero molto in termini di efficacia della misura.

Confindustria fa notare che non possiamo andare in pensione a 58 anni e che dobbiamo adeguarci all’Europa. Ma i sindacati fanno notare a Marcegaglia che quando le imprese licenziano i cinquantenni, questi restano per strada e quota 100 se la sognano.
Obiezione fondata. È proprio così. Se il riferimento è l’Europa, bisognerà adeguarsi a tutti gli standard, e non solo ad alcuni. Per il momento occorre fare in fretta, ma le contromisure devono essere approntate.
Quota 100 nel 2015: che tipo di risparmio potrebbe garantire?
Tenere l’obiettivo della quota 100 per il 2015 produrrebbe dei margini di recupero non facilmente quantificabili. In pochi sarebbero disposti a posticipare. La soluzione più pratica sarebbe anticiparla già per il 2013, anno in cui siamo chiamati a raggiungere il pareggio di bilancio. Passare da 96 a 100 in un anno o due, darebbe più ossigeno alle casse.
Critiche anche contro il blocco delle indicizzazioni. La Cgia di Mestre ha calcolato che un pensionato che riceve un assegno di circa 1.600 euro al mese perderebbe quasi 480 euro in un anno. E la metà dei pensionati percepisce meno di 1000 euro al mese.
Si tratta della misura più impopolare del pacchetto, perché arriva dopo un’ulteriore impennata dell’inflazione. Ma è anche la misura di maggiore entità perché servirà a recuperare 5 o 6 miliardi di euro. È inutile nascondere che si tratta di un intervento piuttosto aspro. Ragione per cui dovrebbe escludere un altro aumento dell’Iva, ed essere controbilanciato dalla patrimoniale.
Altro punto della riforma è l’introduzione del contributivo pro rata per tutti.
È decisamente la misura più equa della riforma, ma anche quella che assicura meno margini di risparmio. Tra sette o otto anni tutti i lavoratori italiani andranno in pensione con il contributivo. E tuttavia è una scelta di equità, che colma l’eccessivo disavanzo tra il privilegio del retributivo e il rigore del contributivo.
In molti sottilineano che in un Paese con 17 milioni di pensionati, già poco propensi a forti consumi per ragioni anagrafiche, bloccare l’indicizzazione significhi deprimere ancora di più l’economia.
È senz’altro un’osservazione condivisibile. E naturalmente Mario Monti ha già previsto in tal senso delle forme di compensazione per ridurre il cuneo fiscale. Alleggerire i tributi sulle imprese e iniettare liquidità nelle buste paga servirà a contenere la durezza dei sacrifici che ci sono richiesti. Occorre sedare le preoccupazioni dell’Europa e dei mercati. Ma farlo anche nel modo più equo possibile.Ti è piaciuto l'articolo? Vota Ok oppure No. Grazie Mille!

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