A scorrere la rosa adunata da ogni anfratto della memoria alla volta di Grozny, ogni buon tifoso di calcio dovrebbe gongolare. Le punizioni di Maradona, i tackle di Costacurta e le sciabolate di Baresi, il capoccione di Bobo Vieri, il dribbling di Figo, le gomitate di Ayala, i gol di rapina di Jean-Pierre Papin, la pelata di Barthez: una parata di stelle così, di solito puoi metterle insieme soltanto sulla playstation. Non fosse che la ragione sociale di un così lauto evento calcistico, è nient’affatto benevola, e tutt’altro che caritatevole con la storia recente.
Mecenate dell’incontro di calcio previsto oggi nella martoriata repubblica, è nientemeno che il primo ministro Ramzan Kadyrov, o come lui stesso ama presentarsi con apposito decreto “il Capo della Cecenia”. Un tifoso di calcio, pedatore dilettante, più noto all’umanità per il simpatico hobby della dittatura, intrapreso con crescente professionalità a partire dal 2005. Presidente tra l’altro anche del Terek Grozny, da lui affidato alla direzione tecnica di Ruud Gullit non più di qualche mese fa, il leader paracalcistico non ha badato a spese per inaugurare il nuovo stadio della capitale. E così, una dopo l’altra, ha depositato ai piedi delle vecchie glorie precettate per l’evento una montagna di denari. Il nuovo stadio di Grozny che oggi sarà calcato dal Pibe de Oro e soci è una sorta di paradosso: una struttura da 30.000 posti costruita secondo tutti gli standard internazionali della Fifa, in una terra che calpesta tutti gli standard internazionali dei diritti umani. Non c’è niente di meglio che una squadra affiatata, quando si tratta di raccontare la passione di Kadyrov per le sfide stracittadine. A capo del Servizio di Sicurezza Presidenziale, l’uomo è implicato ad esempio in numerosi casi di tortura e omicidio. E l’Associazione per i Popoli Minacciati (GfbV) reputa che il 70 per cento di tutti gli assassinii, stupri, rapimenti e casi di tortura in Cecenia siano stati commessi dal suo esercito privato, detto Kadyrovtsy, che si avvale del generoso contributo di 3000 uomini. Poco abile con la palla tra i piedi, un autentico fenomeno nel prendere a calci l’avversario, a Kadyrov non mancano però le intuizioni del fantasista. Il giovane dittatore spera infatti di alimentare con la parata di stelle in campo oggi nel nuovo impianto intitolato a suo padre Akhmar (morto nella tribuna d’onore del vecchio stadio in seguito a un attentato), la grancassa mediatica.
Grozny non è stata inclusa tra le tredici città indicate nella candidatura di “Russia 2018” approvata dalla federazione calcistica internazionale, e pertanto Ramdan spera di attrarre le luci della ribalta sulla sua amata città, in cerca di approvazione e spiragli dell’ultimo momento. Ma come da tradizione, la macchina propagandistica di Ramzan il Barbarossa, è scivolata su qualche madornale buccia di banana. Poco prima dell’incontro di oggi, l’ufficio stampa del presidente dava per confermata la presenza di Zidane, quella probabile di Platini e quella in dirittura d’arrivo di tutta la Juventus al completo. Certamente a loro insaputa. Perché Zizou ha smentito, Michel non s’è sentito, e i bianconeri hanno comunicato che tendenzialmente avrebbero preferito giocare il posticipo di campionato con il Chievo. A dire il vero, già l’otto marzo si era capito che tipo di schemi si applicano, sulla lavagnetta di mister Kadyrov. In campo c’erano, tra gli altri, Romario, Bebeto, Cafu, Dunga, Denilson, Zé Maria e André Cruz. E inoltre Rai, che ha così commentato la sua partecipazione: «Ho partecipato a un evento sfacciatamente politico e populista, senza considerarne le conseguenze». L’asso brasiliano aveva ancora in mente il disinvoloto arbitraggio dell’incontro che opponeva i carioca a una squadra capitanata da Kadyrov in persona. Pur di fargli segnare un goal, il direttore di gara ha quasi raddoppiato il secondo tempo perché Kadyrov non riusciva a segnare neanche a trascinarlo di peso oltre la linea insieme alla palla. Due rigori falliti, ovviamente inesistenti, e un terzo finalmente centrato. Probabilmente, dopo tanta agonia, il portiere aveva finalmente capito il da farsi.
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