venerdì 8 aprile 2011

Il prequel di Amici miei, una boiata pazzesca che sembra fatta ad Arcore

Non si sentiva alcuna necessità di indagare quali origini abbiano avuto le bravate di Mascetti, Perozzi, Rambaldi e Sassaroli. Ma gli indimenticati turisti dell’infanzia, , che hanno consegnato alla storia della commedia all’italiana i gaglioffi e impenitenti Amici miei, sono stati tirati giù dall’Olimpo di celluloide da Neri Parenti in un prequel che trova già tutti i critici con l’abito delle occasioni migliori: cappa, dinamite e ghigno inferocito. Difficile deplorare la mise, in questo caso. Molte le premesse che non inducono troppa benevolenza. Innanzitutto perché operazioni simili, buon ultima quella de I nuovi mostri di Carlo Oldoini, dovrebbero sconsigliare anche i più temerari dal tentare reincarnazioni impossibili. E poi perché non c’è nulla di più serio che la comicità di Mario Monicelli, oggi ancora di più un extraterrestre nella desolazione dei fucinatori della risata contemporanea. Bisognava attendersi una folgorazione di entità evangelica, per potere sperare che Neri Parenti fosse in grado di riportare sullo schermo la stessa geniale e sovversiva sgangheratezza che ha consegnato per sempre all’immaginario le beffe dei toscanacci terribili. Più logico attendersi invece, che Parenti resti nei panni di se stesso, e che il contesto storico prescelto per il suo prequel, non abbia più valore di quanto non ne abbiano i Caraibi o Beverly Hills per una delle qualsiasi  clonazioni sperimentate senza troppa fatica nei suoi laboratori: sesso, corna e mete esotiche. C’è poi un cast che trova nel solo Michele Placido, un interprete da cui immaginarsi performance di valore monicelliano. Gli altri, da Giorgio Panariello a Paolo Handel, da Ceccherini a Christian De Sica, sono invece condannati già prima del ciak a un confronto impari. Se un merito va riconosciuto a Parenti, che pure ha milioni di spettatori e un target di riferimento imponente, è che la lezione di Oldoini è stata in parte assimilata. Optare per un prequel in costume, dimostra per lo meno che il fabbricatore di cinepanettoni ha capito quanto folle sarebbe stata una rilettura degli Amici in chiave contemporanea. Il grande pubblico della commedia all’italiana, quello di Risi e Monicelli, è defunto, consegnato alla memoria. Per quello di oggi, vanno benissimo perizoma e scurrilità assortite. Solo i maestri, secondo la lezione plautina, sanno trasformare i peggiori istinti dell’uomo in geniali e commoventi metafore. Roba di pancia, viscerale, che nelle mani di comuni mestieranti della torta in faccia, restano ciò che sono: sederi e parolacce che restano soltanto sederi e parolacce. Cose che Monicelli non avrebbe mai saputo scrivere. Neppure dopo una notte ad Arcore.
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