martedì 12 aprile 2011

Dicono che i tunisini sono una minaccia per i giovani in cerca di lavoro. Eppure, sono emigrati all'estero 70mila ragazzi italiani che raccontano la loro nuova vita in “Vivo altrove"

Il 30 per cento di loro è disoccupato con punte che al Sud raggiungono picchi terzomondisti. E tra quelli che lavorano, grossa parte è appesa alla corda del precariato. Nell’era marcescente del berlusconismo, i giovani italiani hanno accesso al barnum mediatico soltanto nelle vesti di entertainer danzerecci, canterini o abbastanza sbarazzini da coniugare il battuage di alto bordo alle ambizioni politiche. Così che gli infausti viziosi del titolo di studio, nella psicotica pretesa di coniugare curriculum e lavoro, vengono posti in quarantena dalle televisioni. Eppure, questa maggioranza di laureati piombata in uno stato di minorità culturale, esiste. Ed è costretta a emigrare. Dalla voce di questi esuli, costretti a portare in un’altra terra l’umiliante fardello della propria istruzione, non è possibile cogliere soltanto le normali prospettive che spettano a chi studia, ma anche l’avvilente condizione di chi resta in Italia e non ha spazio né modo per rivendicare i propri diritti. Specie in questi giorni, in cui si farnetica dell'odissea tunisina, come di una grave minaccia al lavoro giovanile nazionale. Non proprio una tragedia, ma solo un ricambio, visto che circa settantamila rampolli italianissimi sono stati costretti a emigrare all'estero dalla nostra feroce meritocrazia a base di poppe e perizomi. Ed è in questo doppio orizzonte di senso che si muove Vivo altrove (Bruno Mondadori, 228 pagg. 228 euro), splendida collazione di storie che Claudia Cucchiarato raccoglie da tempo nell’omonimo sito a centinaia. Almanacco ragionato di un’altra vita possibile, quello della Cucchiarato si configura come il libro bianco dell’emigrazione giovanile. Tra i venticinque e i quarant’anni, triplicati negli ultimi dieci anni, gli italiani in confino volontario, sono giovani talenti in fuga che all’estero ottengono rapidamente opportunità di carriera e tutele sociali, a prescindere dall'ampiezza del proprio giro vita. Ma guai a pensare che si tratti di soli cervelli in fuga. Ci sono an-
che giovani sdegnati da un Paese in cui l’Inps nasconde il fatto che gli sarà negata
la pensione, ragazzi estenuati da una perenne guerriglia ad personam a causa della solita personam, ragazzi illividiti da un deserto politico e sociale che emana ogni giorno miasmi ributtanti. Storie di successi e prestigi, si contano a decine anche “per chi non ha il grano", per citare il padre costituente di questa nuova Repubblica fondata sulla gnocca. Ma nel libro della Cucchiarato vivono conquiste meno roboanti, e altrettanto vitali: storie di precarietà spezzata, di serenità ritrovata e pacificazione con il mondo. «Ovunque ma non qui», potrebbe essere il sottotitolo di Vivo altrove. E se la felicità non costa niente, o per lo meno quanto un biglietto low-cost, il libro accresce il sordo rancore di chi resta. Di chi, per mille venture, resta in aeroporto a passare la scopa.
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