giovedì 24 marzo 2011

Liz, la leonessa sul tetto di Hollywood

Da Liberal 24 marzo 2011

Improvvisamente, la primavera in corso, se n’è andata. E sfiora la comicità involontaria, il pennarello bizantino che profana la sua epigrafe su Wikipedia. «È stata un’attrice inglese – informa l’enciclopedia pop – considerata l’ultima grande diva dell’era d’oro di Hollywood per le sue doti recitative e la singolare avvenenza». Ma più pignolo di Diderot, l’anonimo estensore non si perita di segnalare l’inattendibilità della frase, perché “senza fonte”. Fresca di aldilà, la grande Liz si vede requisito così il pass d’ingresso per l’ufficio beatificazioni. Assenza di testimoni e problemi di contraddittorio. Che cosa mai accadrebbe se un’autorevole fonte ci svelasse invece che «è stata sì un’attrice inglese, ma non aveva doti recitative e anzi era una cagna maledetta, e oltretutto era pure una terrificante racchia?». Meglio la confortante reticenza del dubbio, in questi casi. E pazienza se ci scappa una risata. Perfida, volgare e psicotica, come quella che Elizabeth Rosemond riversò sulla faccia del folle consorte, nel corso di un matrimonio reality, di cui Chi ha paura di Virginia Woolf fu solo una silloge.
Di occhi così lividi e assassini, non se n’erano mai visti prima. Viola di occhi, viola di madre, viola del pensiero. Ma ritorta come l’edera nella testa dei molti uomini che rovinò. E dei milioni restanti che sperarono di farlo. Che cosa dire di Liz, se non che ogni cosa si arroventò della sua febbre. Scottava il parquet che a tre anni bruciò le sue punte di ballerina, il tetto di Los Angeles da cui scappò a nove anni per accalappiarci con Lassie, il suo primo contratto di bimba e di sposa prodigio: diciotto anni e già Un posto al sole. Scottata, su L’albero della vita, ma pronta a un altro balzo dopo tre statuette sfuggitele dalle grinfie. Felina insoddisfatta, mugola il suo rancore di femmina contro il faccione di Newman. Era il 1958. Ma la gatta Elizabeth studiava già da leonessa. Incrocia le unghie e i denti con la Hepburn per salvare la memoria del fragile Sebastian. quando viene il tempo di Improvvisamente l’estate scorsa. Ed è l’ora di rompere gli indugi da ragazzina perbene. È una Venere in visone, Liz, per niente irreprensibile e noiosa. Interpreta una squillo mica da poco. E il film di Mann le consegna finalmente l’Oscar, dopo essersi portata un pezzo avanti col lavoro: Il gigante e L’ultima volta che vidi Parigi. Ventotto anni, quattro nomination e altrettanti mariti. Non è donna da affidarsi alla ventura, la cara Liz. Che ai salamelecchi del tradimento, preferisce un più onesto tratto di penna. Magari multiplo, in onore al suo più grande rovello, Richard Burton. Divorzia da lui nel ’74, lo risposa nel ’75, lo lascia per sempre nel ’76. Uno spietato kolossal sentimentale, che sembra tolto di peso a Cleopatra. Regale, violenta, tenera. È lei l’imperatrice del cinema in quel primo scorcio del 1963. La collocazione geografica, Egitto, nasconde malamente la metafora. Il fatto è che le aspidi finiscono per mangiarsi il cuore di Liz. Crescono i fianchi, le bizze e gli alimenti. Da pagare ai familiari, da buttare giù con l’ingordigia. È sul trono, ma un trono che le scotta addosso. La diva Taylor non sa prevedere che terribile untore possa essere la donna Elizabeth. Scandalosa, ma fin troppo. E troppo personaggio, per restare un’attrice. Tant’è che nell’ultimo squillo, Liz non può che interpretare se stessa. Annichilita dalla vita, dall’amore, consunta dalla febbre dell’odio e dal rammarico di un’innocenza impossibile. È così che appare in Chi ha paura di Virginia Woolf nel 1966. È così che la lasciamo, crassa, avvinazzata e irredenta, in un timido squarcio di luce all’alba di una notte da tregenda. Non c’è fotogramma più vero di questo, in tutta la carriera della Taylor.
Hollywood insegna. Quando arriva il mirabile incrocio in cui la donna si schianta con la diva, la strada è segnata. Per lei ci sono altri film, molte apparizioni, e ancora tre mariti. Tanto gossip che sembra la nemesi di un mondo sedotto e poi abbandonato. Sotto la lente finiscono soprattutto i capricci. Ma del suo impegno contro l’Aids, costante e generoso, in molti sanno poco. Dalle scene se n’era già andata nel ’97, Elizabeth Rosemond. Non prima di un’ultima zampata contro un male più bizzoso di lei. Ne uscì a modo suo: guarita e maritata, per la settima volta, con i riccioli cotonati e la collana di perle. Bisbetica fino all’ultimo, la diva dagli occhi viola. Erano ancora belli, e ha deciso di toglierceli per sempre. (f.l.d)

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