lunedì 7 febbraio 2011

Bye bye Rosella Sensi, storia di una signora in giallorosso nell'impero del calcio maschilista

Tutto era già accaduto nel 2007, ma in quella giornata di marzo che le cronache mondane raccontarono soltanto come una cerimonia, i colori della metafora annegarono in un tripudio di petali giallorossi. Il giorno del suo matrimonio, Rosella arrivò prima degli invitati. E prima di lei il suo velo lunghissimo, ad annunciare un abito color avorio e uno sguardo un po’ smarrito. Al suo fianco c’è Franco, il vecchio patriarca. Ormai non cammina quasi più, e il fisioterapista personale ne accompagna le gambe con gli occhi. Non sono troppi passi, dal sagrato all’altare della piccola cappella di Santo Stefano degli Abissini. In fondo, tra le ali degli invitati, c’è lo sposo, Marco Staffoli. Ma Franco Sensi è fatto così: con la figlia, con la Roma, con la malattia. Fino all’ultimo non molla. Fu il giorno del matrimonio che si consumò la staffetta tra padre e figlia. Sapeva già tutto quello che sarebbe accaduto, il vecchio patron: Rosella al timone, il mare di debiti, le scialuppe impossibili. Sarebbe stato un viaggio lungo e pieno di manrovesci. Sapeva anche che Rosella avrebbe portato la barca in porto. E così, poco dopo una festa memorabile, Franco Sensi morì. Veltroni, invitato anche lui, pensò bene di chiudere al traffico la Stazione Vaticana per facilitare le cose agli invitati. Lotito, unico laziale invitato, arrivò tardi e tenne un intervento fiume sulle sue abilità manageriali. Cosa che non fece rimpiangere a nessuno di non averne invitati di più. Un gruppo di buontemponi salutò l’evento familiare con uno speciale biglietto d’auguri: “Manchester-Roma 7-1”.
Più tardi, nella storica magione di famiglia Villa Pacelli, c’erano proprio tutti. La rosa della Roma al completo, Rosella che danza tra i funambolici passi di samba di Taddei e Mancini, Rosella che intona “Grazie Roma” davanti a preparatori e magazzinieri emozionati. C’è il pupone, naturalmente. È «il fratello che non ha mai avuto», e suo padre lo considera un figlio. Ma quella sera, Francesco Totti non è in vena di amarcord familiari. «Come ha visto la sposa?», gli chiedono i giornalisti. E lui, commosso: «Gialla e nera». C’è anche mister Spalletti ma anche lui non sembra troppo ispirato. «Gli sposi? Hanno evidenziato possibilità e prospettive importanti», commenta a caldo. Quello che si potrebbe dire di due panchinari che esordiscono in Coppa Italia. Ma passata l’ebbrezza, per Rosella arriva il momento di rimboccarsi le maniche. L’era di Franco è stata vincente, ostinata, e segnata da un amore debordante, di quelli che conducono all’autodistruzione. Sotto la sua presidenza, la Roma ha vinto lo scudetto del 2000-2001, due Supercoppe italiane (2001 e 2007), due Coppe Italia di fila (2007 e 2008), e poi ci sono anche cinque secondi posti. In verità sono anche trionfi di Rosella, che già dal 2004 è diventata il braccio destro del patron. Ha dovuto guidare la Roma nel complesso piano di risanamento, costato una buona fetta del patrimonio personale della famiglia. Ha cercato di fare l’acrobata, tra la necessità di vendere pezzi importanti della squadra come Samuel, Emerson e Zebina e insegue con tenacia l’impossibile traguardo dell’autofinanziamento. Dire che la Roma è una questione di famiglia, non è retorica in casa Sensi. Forse, partita l’operazione di risanamento, Franco e Rosella lo intuiscono già nel 2004. Salvezza della famiglia e salvezza della Roma non possono coincidere. E padre e figlia, anche questa volta, scelgono la Roma. Per evitare il fallimento devono essere venduti i gioielli di casa: i terreni edificabili di Torrevecchia, i depositi petroliferi di Civitavecchia e parte della stessa società sportiva. Il 49 per cento di Italpetroli, la holding dei Sensi, finisce nella mani di Capitalia, oggi Banca di Roma-Unicredit. Ogni tre mesi, le banche verificano lo stato delle finanze giallorosse. L’Italpetroli deve 343 milioni di euro a Unicredit, pronta a prendere il controllo della squadra in caso di insolvibilità. Rosella ce l’ha messa tutta in questi sei anni. Prima come amministratore delegato, e poi come presidente. Pro tempore, aggiungevano gli scettici. Ma adesso che lascia sono evidenti due cose: miss Sensi ha dimezzato il debito, non ha venduto al primo che passava (e ne sono passati tanti, da Roma, di improbabili cammellieri), e ha tenuto la squadra nelle prime posizioni del campionato, nonostante tutto. Non le è bastato a tenersi la Roma, ma è abbastanza perché la Roma, in procinto di passare oggi nelle mani dell’italoamericano Thomas DiBenedetto sia rimasta ancora oggi più che appetibile sul mercato. È sempre stata riservata miss Rosella, spesso cocciuta, ma mai disposta a farsi mettere i piedi in testa. E su questo versante, Francesco Totti si è preso la sua rivincita con una frase lapidaria che descrive l’avventura della sorellastra con tacitiana compiutezza: «Sa che cosa vuole e sa essere dura. Il mondo del calcio è un ambiente pieno di marpioni che te se magnano». Signora tra i marpioni, Rosella si è distinta per una gestione fieramente in rosa: Cristina Mazzoleni responsabile economica, Elena Turra capo ufficio stampa, Filippa Costa psicologa, Angela Nanni Fioravanti - zia di Rosella - responsabile di Trigoria e Maria Nanni Sensi moglie e primo consigliere del presidente. Una città delle donne, nel cuore di Trigoria. Nell’imperante maschilismo del calcio, un’autentica Eldorado. Laureata alla Luiss, le competenze non le sono mai mancate. Come la passione, instillata dal padre Franco fin da quando era una ragazzina. Il suo primo ricordo è il famoso gol annullato a Turone nella partita Juventus-Roma del maggio 1981. La sua prima volta allo stadio la Roma ne fece cinque al Perugia, e il suo primo simbolo fu un altro grande rimpianto come Agostino Di Bartolomei.
Ma è a tavola che Rosella impara a masticare il pane con la Roma. «La domenica sera – racconta – a casa non si mangiava se la Roma aveva perso, e non si usciva. Fino al lunedì si stava in lutto e dal martedì mattina si pensava alla partita successiva. In caso di vittoria, invece, grande cene e festeggiamenti con lui, e il lunedì si poteva chiedere qualcosa». Quando Franco Sensi compro la Roma, Rosella aveva ventidue anni. Ma lo ricorda come fosse accaduto ieri: «Papà tornò a casa e disse “ho comprato una cosa. Che ne dite?”». Seguì una votazione familiare. Fu sfavorevole ma lui se ne infischiò. «Da quel momento – osserva Rosella – la vita venne stravolta». Il vecchio petroliere vedeva la Roma come un fatto meritocratico. «Lo schieramento in tribuna era: papà, mamma, zia Angela e zio e poi noi figlie, in base ai risultati scolastici», spiega. «Se prendevi un brutto voto, infatti, restavi a casa, allo stadio poteva andare solo chi se lo meritava, e noi volevamo andare sempre». Negli anni alla guida della squadra, la signora Staffoli ne ha viste parecchie. A partire da quel 2006, che vede Alessandro Moggi scalzare Zdenek Zeman dalla lista dei papabili per la panchina della squadra. Moggi riferisce a Fabio Capello, l’allenatore dello scudetto, di aver convinto Rosella «a non tesserare l’allenatore Zeman», una vecchia passione di Sensi padre, e i due «si mostrano ovviamente soddisfatti essendo questo allenatore accanito nemico dell’organizzazione e quindi un grosso ostacolo ai loro fini». La scelta cade quindi su Spalletti, che in pochi mesi mette su una squadra dal modulo insolito, senza attaccanti, ma capace di segnare gol a raffica. A svariare come falsa punta c’è Francesco Totti, che raggiunge forse l’apice della carriera. Ma a fare le fortune della squadra ci sono anche le incursioni di Perrotta, la precisione di Pizarro e le sempre più convincenti prestazioni di Philippe Mexes. In parallelo, cresce il prestigio di Rosella negli ambienti smaliziati del pallone. Dopo anni di isolamento, legati al vulcanico carattere di Franco Sensi esploso nella tempesta di Calciopoli, la Roma risale le posizioni e ricuce con i poteri forti detenuti da Galliani e Moratti. . «Quando ho cominciato ero per tutti ’la figlia di Franco’, in Lega mi guardavano male, poi però si sono abituati al mio essere donna, con il tempo». A tal punto che Rosella raggiunge la vicepresidenza della Lega. Non è tutto rose e fiori, naturalmente, ma il bel calcio espresso dalla Roma sul rettangolo di gioco allontana gli spettri del fallimento, e condensa le simpatie attorno alla squadra e alla sua reggente. Un primo serio manrovescio arriva però nella disgraziata notte del 9 aprile del 2007. I Red Devils di Ferguson travolgono i giallorossi con sette reti. Nel Teatro dei Sogni, il Manchester festeggia una prestazione incredibile. E per la Roma, è come vedere i fantasmi. Simpatici battutisti annunciano che la società ha trovato il suo film preferito: Seven, e che da quel giorno le partite dei giallorossi saranno trasmesse solo su La7. È dopo quella sciagurata partita, che si fanno sentire gli scricchiolii. Il giocattolo si è rotto, e bisogna cercare di riparararlo. I volenterosi non sembrano mancare. A maggio 2008 Rosella riceve il fantomatico Joe Tacopina, che vuole acquisire la società per conto di George Soros. «Joe è molto eccitato, per lui è un sogno che diventa realtà», scrive Il Post. Così eccitato che fa cilecca. In aprile, la società è costretta a fare i conti con la propria condizione di società quotata in borsa. La Consob ha inserito la Roma nella famigerata blacklist che include le società finanziariamente malconce e le costringe a una gestione particolarmente trasparente, oltrechè a uscire allo scoperto. Risultato: per il momento la Roma non si vende. Non al primo Tacopina che passa. Rosella difende la società: «La procura indaga sull’oscillazione del titolo in Borsa? Questo non dipende assolutamente dalla società. Una società seria, che potrebbe essere presa ad esempio». Il lungo addio alla Roma, procede però inesorabile, quando l’allenatore simbolo del post Franco, lascia la squadra. Nel settembre del 2009, Luciano Spalletti lascia dopo aver portato a Roma due Coppe Italia, una Supercoppa italiana, tre secondi posti in campionato, due quarti di finale e un ottavo di finale in Champions League, e mesi e mesi di grande calcio. Ma il 2009 regala a Rosella anche un’enorme gioia. A marzo nasce Livia e lei dice che è come la Roma: «Anche lei non mi fa dormire la notte». Il resto è storia recente. L’era Ranieri, le voci, le radio all’assalto della dirigenza, le contestazioni. Dopo un’overdose di bombe-carta, di spranghe e trionfi, di successi e conferenze stampa,  di Tevere deserta e Tevere stracolma, Rosella lascia. La Roma le mancherà come nient’altro. Ma temprata da mille battaglie, da mille sogni e mille capogiri, miss Rosella lo sa bene: «Domani è un altro giorno». (f.l.d)

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