mercoledì 10 novembre 2010

La scuola è arrivata al collasso. Tagli disastrosi ma non solo, parola di Israel

Sostiene Giorgio Israel che di fronte a certi cronici malanni, occorrerebbe chiedersi se la mancata guarigione possa dipendere da una diagnosi sbagliata, piuttosto che da un impiego troppo blando dei farmaci prescritti. In modo analogo, raccolti attorno al suo capezzale da più di vent'anni, esperti e professionisti delle riforme, hanno sottoposto la scuola a un accanimento terapeutico infruttuoso. Nessuno di loro si è chiesto cioè se qualche veleno sia stato da loro scambiato per una buona medicina, e noncuranti ne hanno moltiplicato le dosi. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è stato il decorso senza fine di una malattia contagiosa, il disastro dell'istruzione pubblica, che ha trascinato con sé migliaia di piccole cavie in quel bislacco esperimento che è stato - e continua a essere - la nostra scuola dell'obbligo.

Lungi dall'essere una noiosa anamnesi di date, documenti e interventi che a vario titolo hanno accelerato il collasso, Chi sono i nemici della scienza?, ultimo lavoro del professor Giorgio Israel, si segnala come un'analisi originale e impietosa di alcune tra le più grandi e troppo spesso taciute aberrazioni ideologiche che hanno tramutato la scuola in una creatura, acefala e deforme, che oggi rappresenta fedelmente quella stessa fallimentare pervicacia che l'ha alimentata a dispetto dei risultati. Un'ostinata battaglia, continuamente perduta e rilanciata, che ha ridotto la cultura, scientifica e non, e il modo di trasmetterla, a una baggiana kermesse carnevalesca infarcita di lustrini hi-tech e ciancie salottiere ispirate all' infotainment. Come in un carnevale bachtiniano, mentre la maschera di Democrito ride nei wine bar scientifici e nella didattica liberatutti, la scuola e il sapere sono da tempo i grotteschi prosceni degli opposti. In nome di una risibile ideologia antiautoritaria, che ha mutato l'autorevolezza in permissivismo sfrenato, è accaduto anzitutto che ai maestri sia stato fatto fermo divieto di insegnare, e men che meno di educare ai principi minimi del merito e della responsabilità.

Agli insegnanti è oggi concesso,in nome di un discutibile principio che pone lo studente al centro del sistema, in teoria, e lo trasforma in un cliente bizzoso alle prese con un qualunque prodotto, di fatto, la facoltà di stimolare l'autopprendimento secondo coordinate preconfezionate. Guai al protervo maestrino di Vigevano che si curi di insegnare a tenere in mano la penna come si deve. I bimbi di oggi, nel refrain pedagoghese in voga, sono capaci di farlo perché abituati a manipolare il pongo. Un piccolo esempio, posto simbolicamente da Israel, di come il sistema educativo, zeppo di sovrastutture, abbia smarrito i suoi pilastri: la trasmissione del sapere e la formazione dell'individuo sulla scorta del patrimonio comune di conoscenze. Private dei loro specifici contenuti, storia e geografia hanno perduto i loro crismi disciplinari - la fascinazione del racconto e la curiosità dell'altrove che tanta presa avevano e hanno su un bambino - per essere disciolte in complicate fumisterie metodologiche come la nozione di temporalità, di spazialità e di altre assortite chincaglierie.

 Capriola inversa e parallela per la matematica, che legata mani e piedi, e rovesciata su stessa, è ripartita dalla concretezza del far di conto, e viene ammannita con un singolare senso di horror vacui per tutto ciò che di astratto e di più peculiare presenta nella sua natura. L'ossessione per la praticità e la spasmodica ricerca di un americano, troppo americano problem solving, ha occultato una semplice verità: il saper fare, senza sapere, non crea uomini ma mestieri. La deriva sempre più tecnocratica verso le competenze, non è pero qui da noi l'epicentro del sisma, ma solo una delle crepe attraverso cui è proceduto il dissesto. Si è voluto infatti, in forza di un egualitarismo nobile negli intenti, e scellerato negli esiti, livellare verso il basso l'apprendimento, affinché nessun allievo restasse indietro. Una classica eterogenesi dei fini che, attraverso i sei rossi e l'abolizione malcelata degli esami di riparazione, premia la mediocrità, incoraggia il minimo sforzo, e danneggia i più meritevoli in un'ottica che vorrebbe elidere le differenze di classe, e che invece le rende ancora più dirimenti.

Correlativo, per niente oggettivo, di questo egualitarismo populista, è la docimologia, riverita scienza della valutazione che si arroga il diritto di monitorare l'attività didattica e i risultati dell'apprendimento, offrendo una copertura dogmatica, e iperscientista, alle trappole dell'égalité in salsa quantitativa. Una metadisciplina giustizialista che assomma in sé, le magnifiche sorti e progressive di un pedagogismo esasperato, tutto proteso a garantire che tra i banchi non si insegni ma ci si limiti ad imparare, che le conquiste socioculturali non avvengano tramite lunghi lavorii e sudate carte,ma che escano belle e pronte dai distributori dell'apprendimento. Ridurre gli insegnanti a pony-express di competenze, e i saperi in supplì precotti, ha permesso che l'allievo avesse sempre ragione. E che, almeno a scuola, non imparasse mai niente. Niente di buono che valga la pena di leggere, o di continuare a studiare poi, lontano dai banchi.  Nell'era dell'autonomia delle miserie, e della socializzazione del successo e dell'appeal aziendalistico, le scuole non possono che scimmiottare le dinamiche d'impresa, e negarsi alla propria missione educativa, del tutto estranea all'idea del profitto.

Naturalmente in nome dell'eguaglianza, e dello share, che hanno prodotto i disastri più evidenti nell'attuale panorama scientifico. Una storia, fitta di mistificazioni e contraddizioni, per la quale rimandiamo alla lettura del libro di Israel.  Una voce, quella dell'ordinario di Matematica presso La Sapienza di Roma, fuori dal coro e dalle conventicole politiche, che ha il coraggio di descrivere ciò che tutti fingono di non vedere. Torturata da pinze e martelletti di ogni genere, la cultura è ormai il cadavre exquis che la modernità insolentisce, limitandosi a vellicarne l'epidermide a titolo ludico, e lasciandone morire frattanto i fluidi vitali, che tanta parte hanno avuto, nel nutrire i piccoli e i grandi uomini di ogni tempo.

Nessun commento:

Posta un commento