mercoledì 10 novembre 2010

Direttamente dal mito, sfila il corteo di Dioniso di Vincenzo Consolo


C’è qualcosa di perturbante in ogni nuovo libro di Vincenzo Consolo. Qualcosa che aggrava le parole di un peso scandaloso e ingombrante, che rende il nostro eterno presente troppo angusto. È la forza di un passato che si ostina a non sparire, a ricongiungere le trame fragili della storia ai suoi archetipi di pietra. Un processo di saldatura impossibile, che il maestro di Sant’Agata attua da sempre, e che nei due racconti che compongono Il corteo di Dioniso (La Lepre, 60 pagg.10 euro) non smette di essere magnificamente inattuale. Come immersi in un correlativo oggettivo di eliotana potenza, sono complici in entrambi gli scritti la piazza dei Quattro Canti di Palermo, e un cratere bronzeo placcato d’oro. Scintille immaginifiche che riaccendono le luci sulla storia di berberi e cammelli, odalische e gran visir, astronomi e soldati di un’era irriproducibile che va in scena nel Teatro del Sole. E che in Nerò Metallicò sbalzano dalle quinte menadi danzanti e satiri audaci ripescati da una Grecia che sembra vivere miniata nel fondale di un Oceano. Lontano dalle manie de costruttive dei tardi Sessanta, Consolo fa della sua lingua controrivoluzionaria, un prezioso passepartout  verso la modernità, in cui rileggere a ritroso l’infinito decadere del mistero e del rito. Un incantevole disincanto, che già a suo tempo fu l’attonito sorriso di un ignoto marinaio.

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